«Circa il 90% del global warming totale va nel riscaldamento degli oceani, e proprio gli oceani si sono riscaldati in modo drammatico». Geophysical Research Letters pubblica lo studio Distinctive climate signals in reanalysis of global ocean heat content nel quale i britannici Magdalena Balmaseda ed Erland Källén, dell’European centre for medium range weather forecasts, e lo statunitense Kevin Trenberth, del National center for Atmospheric research di Boulder evidenziano che «La natura elusiva del riscaldamento post-2004 della superficie degli oceani espone ad incertezze nel ruolo degli oceani nel bilancio energetico della Terra e sulla sensibilità transitoria del clima».
I tre ricercatori presentiamo l’evoluzione del calore dell’oceano dal 1958 fino al 2009 attraverso una nuova osservazione basata sulla ri-analisi del mare: «Le eruzioni vulcaniche e gli eventi di El Niño sono identificati come eventi acuti di raffreddamento che punteggiano una tendenza a lungo termine di l riscaldamento degli oceani», intanto il riscaldamento dell’oceano superficiale è continuato e il calore viene assorbito più in profondità: «Nell’ultimo decennio, circa il 30% del riscaldamento si è verificato sotto i 700 m, contribuendo in modo significativo ad una accelerazione del trend di riscaldamento».
Skeptical Science sottolinea che lo studio è importante perché arriva ad importanti conclusioni: è completamente in contrasto con il mito degli ecoscettici che il global warming negli ultimi 15 anni non abbia accelerato più che nei 15 anni precedenti, «Questo perché circa il 90% del global warming totale va nel riscaldamento degli oceani e gli oceani si sono riscaldati in modo drammatico».
Come si sospettava, e come aveva già prospettato Trenberth, gran parte del “calore mancante” è stato trovato nelle profondità oceaniche. Lo studio è coerente con la ricerca Comment on Ocean heat content and Earthʼs radiation imbalance. II. Relation to climate shifts del 2012 e rileva che negli ultimi 10 anni il 30% del riscaldamento degli oceani si è verificato a profondità sotto a 700 metri, facendo notare che questo fenomeno non ha precedenti per almeno mezzo secolo. Alcuni studi recenti avevano concluso, basandosi sui dati delle acque di superficie, che il global warming negli ultimi 10 anni aveva rallentato e che l la sensibilità del clima all’effetto serra fosse inferiore alla migliore stima dell’Ipcc, ma questi studi risultano inesatti, perché non tengono conto del riscaldamento delle profondità marine. Evidentemente il rallentamento dell’aumento delle temperature dell’aria negli ultimi 10 anni aveva dato a molti un falso ed ingiustificato senso di sicurezza.
Il nuovo studio ha utilizzato l’Ocean reanalysis system 4 (Oras4). Uno strumento che ri-analizza il clima con un modello di simulazione del tempo del passato e che include i dati delle osservazioni storiche come le misurazioni delle temperatura oceaniche che eseguite dalle boe batimetriche Argo ed altri tipi di dati come il livello del mare e la temperatura superficiale.
Lo studio ha analizzato il riscaldamento in tre livelli degli oceani: la fascia fino a 300 metri di profondità (grigia nei grafici), a 700 metri (blu), e nelle profondità oceaniche (viola). Dopo ognuna delle grandi eruzioni vulcaniche dell’Agung, del Chichón e del Pinatubo che hanno provocato un raffreddamento a breve termine bloccando la luce solar, si è osservato un raffreddamento dell’oceano . Inoltre, dopo il forte evento El Niño del 1998, era visibile un raffreddamento delle profondità oceaniche tra i 300 e i 700 metri a causa di calore che veniva trasferito dalla superficie dell’oceano all’atmosfera.
Dallo studio emerge quindi il rapido riscaldamento degli oceani negli ultimi 10 anni. Il riscaldamento degli oceani meno profondi è rallentata dal intorno al 2003, il che ha fatto gridare gli eco-scettici al rallentamento del global warming, invece il calore accumulato finiva negli oceani più profondi, al di sotto dei 700 metri.
Le tesi di Trenberth sul “calore mancante” gli avevano attirato consensi e critiche. Il termine si riferisce al fatto che, all’incirca dal 2004, l’accumulo di calore sulla Terra misurato dagli strumenti non poteva spiegare la quantità calore globale accumulato che avrebbe dovuto esserci, basandosi sulla squilibrio energetico dovuto all’aumento dell’effetto serra, così come misurato dai satelliti che controllano l’atmosfera del nostro pianeta. Queste nuove stime del calore “nascosto” negli oceani rappresenta un bel passo avanti nella soluzione del mistero del “calore mancante” e le differenze che restano potrebbero essere dovute ad errori nelle misurazioni satellitari, alle misurazioni delle temperature negli oceani o ad entrambi. Ma la differenza è ora notevolmente più piccola e spiegata diffusamente dallo studio.
Lo sprofondamento del caldo nelle profondità oceaniche sarebbe dovuto alle variazioni di venti relativi alla negative phase della Pacific decadal oscillation ed agli eventi de La Niña più frequenti.
Purtroppo il minor riscaldamento superficiale non basta a tranquillizzarci, come spiega Trenberth «Contribuisce al riscaldamento globale dell’oceano profondo che deve verificarsi perché il sistema si equilibri. Si accelera tale processo finale. Significa un riscaldamento meno breve termine in superficie, ma a spese di una maggiore riscaldamento successivo a lungo termine e di un più rapido innalzamento del livello del mare».
Perciò il rallentamento del riscaldamento superficiale ed è coerente con le “hiatus decades” descritte da Meehl nel 200. Il risultato finale è che il global warming sarà lo stesso, ma i livelli di riscaldamento della superficie nel tempo possono essere molto diversi da quelli che ci si aspettava. Il vero problema è che nel frattempo, molti si sono cullati in un falso senso di sicurezza, portando la gente a credere erroneamente che il global warming fosse in pausa, quando in realtà accelerava e con il trend più sostenuto degli ultimi 50 anni.
22 Novembre 2024