Alle analisi ed ai commenti di Settis, Berdini, Maddalena, Gelsomini (segnalo l’ottimo Carte in Regola), ci sarebbe ben poco da aggiungere da parte mia sulla proposta di legge Realacci. Essa è l’ammissione, malamente dissimulata da enunciazioni di principio, dell’egemonia culturale subita dagli ambientalisti (o presunti tali) che albergano nelle truppe del PD: ormai tutto è mercificabile, tanto vale metterlo nero su bianco.
I beni comuni, le risorse naturali, l’ambiente, la salute possono essere comprati, scambiati, sacrificati sull’altare del dio mercato.
Il PDL (Progetto di Legge) Realacci che dovrebbe nel titolo salvaguardare il suolo, in realtà, grazie a paroline magiche come perequazione, premialità, compensazione, certifica e consolida la natura privatistica della contrattazione attorno a quel bene comune non rinnovabile di nome terra.
I dati allarmanti, 8 mq al secondo di terra italiana sepolta sotto il cemento, dovrebbero portare il legislatore a dire: “stop al consumo di territorio, subito”.
Le storie quotidiane di scempi e minacce incombenti ai danni del nostro patrimonio storico e ambientale, ai danni dei nostri ecosistemi, da Villa Adriana alle Ville Palladiane, passando per le valli piemontesi, le coste sarde e i parchi agricoli che sorgono anche alle porte di grandi metropoli come Milano, dovrebbero far scattare nel legislatore l’istinto di sopravvivenza rispetto alla tutela della più importante ricchezza del paese: il suo paesaggio e la sua biodiversità.
Invece, la proposta di Realacci riesuma di fatto la vecchia proposta Lupi travestendola da norma di tutela.
Una proposta che lascia ed anzi costruisce alcuni presupposti per far correre più veloce il nostro paese sul binario dell’urbanistica contrattata. È sufficiente pagare, avere diritti edificatori da spostare a proprio piacimento, trovare un buon interlocutore politico nella stanza dei bottoni. Come a monopoli.
E già si intravedono scenari cupi all’orizzonte del martoriato (sia dal centrosinistra che dal centrodestra) Agro Romano.
Allora quale sarebbe la legge che servirebbe al paese? Sarebbe “figlia legittima” della nostra Costituzione, del suo art. 9, della Convenzione Europea del Paesaggio, ed ancor prima delle parole di Goethe e del suo “Viaggio in Italia”, della nostra fortuna di nazione baciata da millenni di storia e di fertilità. Una fertilità da preservare, anche proponendo un modello alternativo di agricoltura. Una fertilità talvolta risultato del lavoro dello stesso uomo.
La buona legge sarebbe figlia di una rinnovata volontà di restituire la pianificazione alla mano pubblica ed in ultima istanza ai cittadini. Cittadini che dovrebbero essere chiamati, obbligatoriamente, ad esprimersi sui disegni delle loro città e sul futuro delle loro campagne. Perché i piani regolatori non sono affare di pochi proprietari e di pochi amministratori. I piani regolatori sono ipoteche sull’ambiente in cui vivranno le comunità, fatte di donne, anziani, bambini, lavoratori, sul contesto in cui ciascun cittadino si rapporterà e si relazionerà.
Una legge per la salvaguardia del suolo e del paesaggio, prima ancora di proporsi come strumento tecnico per urbanisti e sindaci, deve interpretare ed affermare il diritto dei cittadini a vivere in un territorio non cementificato ed a godere, oggi e domani, dei “servizi” forniti dagli ecosistemi che possono essere garantiti solo se gli ecosistemi stessi conservano un adeguato livello di funzionalità.
Affermare il diritto dei cittadini e il rispetto prioritario della natura. Altro che diritti edificatori!
Affermare il diritto alla bellezza!
PS
Di tutt’altro altro segno il PDL dei deputati del M5S così come la proposta essenziale e rigorosa lanciata dagli amici di eddyburg, Vezio De Lucia, Paolo Berdini, Luca De Lucia, Antonio di Gennaro, Edoardo Salzano, Giancarlo Storto.
Domenico Finiguerra www.domenicofiniguerra.it
23 Novembre 2024