Incentivi al contrario: circa 160 milioni di euro di fondi pubblici, che sarebbero dovuti servire a ridurre le emissioni di CO2, finiranno invece come rimborsi agli impianti inquinanti entrati in esercizio negli ultimi quattro anni. Oltre 51 milioni andranno alla sola centrale a carbone Enel di Civitavecchia. E’ l’effetto del rimborso ai ‘nuovi entranti’ dello schema ETS.
Circa 160 milioni di euro di fondi pubblici che sarebbero dovuti servire a ridurre le emissioni di CO2, paradossalmente finiranno come rimborsi agli impianti inquinanti entrati in esercizio negli ultimi quattro anni. Oltre 51 milioni andranno alla sola centrale a carbone Enel di Torrevaldadiga Nord, a Civitavecchia, tra i maggiori emettitori di CO2 in Italia, nonché responsabile con il suo inquinamento di circa 45 morti premature l’anno (secondo uno studio commissionato da Greenpeace Italia all’istituto indipendente di ricerca olandese SOMO).
All’Ilva di Taranto di milioni ne andranno oltre 3, e la lista dei beneficiati continua (comprendendo anche impianti meno impattanti, come i cicli combinati a gas): Sorgenia riceverà 25 milioni spalmati su 3 impianti, Ergosud 9 milioni, Eni Power quasi 7 milioni, Tirreno Power 4,4 milioni e decine di altre aziende avranno somme minori.
Gli importi, stabiliti con due delibere emesse dall’Autorità per l’Energia lo scorso 26 luglio (vedi allegati in basso), si riferiscono ai rimborsi dovuti ai cosiddetti ‘nuovi entranti’ italiani nel sistema ETS, il meccanismo europeo di scambio delle emissioni. Soldi che sono garantiti agli impianti entrati in esercizio negli ultimi anni nonostante la riserva loro destinata fosse esaurita: grazie a un intervento del governo Berlusconi del 2010, infatti, i fondi verranno presi dai proventi della vendita all’asta dei permessi ad emettere. Proventi che, come anticipato, dovrebbero in teoria essere destinati, oltre che a risanare le casse statali, a sostenere investimenti per ridurre la CO2.
Come è successo? La storia ha inizio nel 2006, mentre ci si preparava alla fase 2 dell’ETS, iniziata dal 2008 e terminata con il 2012. Come sappiamo, in quella fase la quasi totalità dei permessi ad emettere venivano assegnati gratuitamente agli impianti che rientravano nello schema, ossia centrali termoelettriche e altre industrie ad alte emissioni. Quante quote gratuite potevano essere assegnate agli impianti italiani e quali soggetti ne avessero diritto venne stabilito con il Piano Nazionale di Assegnazione delle quote di CO2 2008-2012 (PNA), approvato ufficialmente il 18 dicembre 2006 dai ministeri di Ambiente e Sviluppo Economico del secondo governo Prodi, presieduti rispettivamente da Alfonso Pecoraro Scanio e Pierluigi Bersani.
Proprio in quel piano c’è il seme della distorsione che porta ai paradossali rimborsi deliberati nei giorni scorsi. Non riuscendo a ottenere dall’Europa di poter assegnare un volume di permessi ad emettere tanto grande quanto quanto richiesto, infatti, gli estensori del Piano hanno deciso – con ogni probabilità per non ledere gli interessi degli impianti già in esercizio – di sacrificare la quota di permessi gratuiti da accantonare per gli impianti che sarebbero stati costruiti negli anni seguenti, appunto i cosiddetti nuovi entranti.
La riserva per i nuovi entranti, come quasi certamente sapeva anche chi ha scritto il Piano, è risultata dunque sottodimensionata rispetto alle centrali e alle industrie costruite negli anni successivi: nel primo anno della fase 2 delll’ETS, il 2008 era già stata esaurita e ovviamente anche negli anni seguenti – 2009, 2010, 2011 e 2012 – non ci sono stati abbastanza permessi gratuiti risparmiati da assegnare.
I nuovi entranti hanno così dovuto acquistare di tasca loro i crediti, ma per loro il danno non è stato grave: come forse gli autori del PNA 2008-2012 già immaginavano sarebbe successo, in soccorso è arrivata la mano pubblica nelle vesti di un decreto emanato dal governo Berlusconi nel 2010.
È il Decreto Legge n.72, del 20 maggio 2010, (convertito con la Legge 19 Luglio 2010, n°111) che identifica un meccanismo di rimborso per le installazioni che non hanno ricevuto quote di emissione di CO2 a titolo gratuito a causa dell’esaurimento della riserva per i nuovi entranti. All’articolo 2, comma 3 del provvedimento – a firma Berlusconi (ministro ad interim dello Sviluppo Economico), Prestigiacomo (Ambiente), Matteoli (Infrastrutture) e Tremonti (Economia) – si stabilisce che i soldi da dare ai nuovi entranti – il rimborso comprensivo di interessi di quanto speso per acquistare i crediti – vengano presi dai proventi della vendita all’asta delle quote di CO2 non assegnate gratuitamente.
Da lì le delibere emanate nei giorni scorsi dall’Aeeg, che altro ruolo non ha se non stabilire gli importi in base alle emissioni degli impianti in questione e alle quotazioni della CO2 in quegli anni: 144 milioni di rimborsi relativi al 2012, 10,8 al 2011, 3,5 al 2010, circa un milione al 2009 e 41mila euro al 2008. Ecco come è successo che 160 milioni del ricavato della vendita all’asta dei permessi – che dovrebbe essere diviso tra entrate erariali e attività per ridurre la CO2, come ad esempio finanziare il Fondo rotativo per Kyoto – andrà invece agli impianti inquinanti costruiti negli ultimi anni.
Come commenta Francesco Ferrante, vicepresidente del Kyoto Club: “In questo modo si è svuotato di significato un meccanismo nato per ridurre le emissioni. Lo si è trasformato in un incentivo al contrario che paradossalmente rimborsa i grandi emettitori. Se si guarda al caso della centrale Enel di Civitavecchia non c’è bisogno di aggiungere altro”.
Le delibere Aeeg 334/2013/R/efr e 333/2013/R/efr pubblicate il 26 luglio 2013 nelle quali si determinano i rimborsi. Giulio Meneghello QuaEnergia
22 Novembre 2024