Il 24 febbraio Berlusconi e Sarkozy hanno presentato un accordo per costruire nuove centrali nucleari in Italia. Qualcuno ha commentato che finalmente il nostro paese si appresta a recuperare vent’anni di ritardo, causati dal famigerato referendum del 1987.Ma con la chiusura in Italia del nucleare, il referendum c’entra poco. Il referendum non bloccò alcunché in realtà: solo la centrale di Caorso non venne riavviata (era in fermo per il ricarico del combustibile), le altre erano vetuste e non economiche, già chiuse o destinate ad essere chiuse da Enel. Ricordiamo che quando si svolse il Referendum nel 1987, la centrale di Garigliano era già chiusa, quella di Borgo Sabotino era ferma dall’anno prima, quella di Trino era già stata fermata due volte (nel ‘67 e nel ‘79) per problemi tecnici.
La verità è che il nucleare italiano non esisteva, per questo ci fu il referendum, ed era in crisi in tutto il mondo. Se si guarda alla stessa Francia, si scopre che l’EPR (il reattore ad acqua pressurizzata) attualmente in costruzione è il primo impianto nuovo dopo vent’anni e che negli Stati uniti d’America, la patria del nucleare con i suoi 104 reattori ancora attivi, l’ultima costruzione venne ordinata nel 1978.
Perchè questa crisi? Perchè economicamente non conveniva ed a maggior ragione non conviene ora. L’attuale “ritorno di fiamma” è fondato sulla necessità di ridurre le emissioni di CO2.
L’annuncio del governo però é in netta contraddizione con questo argomento, ovvero l’indispensabilità del nucleare per rispettare gli impegni di Kyoto e dell’Unione Europea in materia di riduzione delle emissioni climalteranti. In contraddizione perchè l’impegno a produrre il 20% dell’energia da fonti alternative scade nel 2020 e per quella data il ministro Scajola ha annunciato che sarà pronta la prima centrale (se tutto andrà per il verso giusto), che impiegherà qualche anno per recuperare la Co2 (tanta), che si consuma per costruire quel mammut di acciaio e cemento che è una centrale di tipo EPR. Centrale, sia detto per inciso, che altro non e’ se non una centrale di seconda generazione (e’ un reattore ad acqua in pressione come quello di Trino Vercellese ideato nel 1961) in cui i sistemi di sicurezza sono notevolmente potenziati attraverso il sistema della ridondanza dei circuiti. Dunque il nucleare non servirà a mantenere gli impegni di riduzione delle emissioni che alterano il clima concordati con le altre nazioni dal nostro paese.
A che cosa servirà allora? A ridurre l’insicurezza degli approvvigionamenti dicono, ed è innegabile che dipendere, nella generazione elettrica, per il 60% dal gas non sia una scelta ottimale.
Ma l’ultima edizione delle “Prospettive dell’energia nucleare 2008?, edito dall’OCSE (non dall’eco delle alternative), sta scritto che “Le risorse conosciute di uranio sono sufficienti ad alimentare un’espansione della capacità di produzione elettrica nucleare, senza ricorrere al riprocessamento, almeno fino al 2050?. La domanda sorge spontanea: costruiamo centrali che stiano in vita 60 anni (le stime sul costo del Kwh si fanno con questa premessa) e la prima sara’ forse pronta nel 2020 sapendo che confidiamo di avere combustibile solo per 30 anni?
In questi anni si è parlato con entusiasmo del reattore in costruzione in Finlandia, quando proprio questo reattore è stato citato dal Financial Times (3 novembre 2008), come simbolo negativo della presunta rinascita nucleare perché sta accumulando ritardi ed i costi sono saliti enormemente, tanto che è in corso una causa legale fra committenti e il costruttore francese.
E questi francesi, come mai sono cosi disponibili ad offrirci il loro know-how? Improvvisamente filantropi? Semplicemente siamo una bella occasione per loro, l’occasione di fare un sacco di denaro trovando sbocco ad una industria che in regime di libero mercato non sta in piedi, sta in piedi solo in regimi statalisti. Sì perché tornando a guardare fuori della finestra si nota bene che a parte la Finlandia col suo ormai famoso impianto di Olkiluoto, a costruire centrali oggi sono paesi in cui l’energia è affare di stato. Areva, la società francese che costruisce gli EPR, nel 2008 ha registrato un calo degli utili del 21% rispetto all’anno precedente ed ha bisogno di 10 miliardi di euro nei prossimi quattro anni per finanziare gli investimenti programmati nell’attività mineraria di estrazione dell’uranio e negli impianti di produzione del combustibile. Con l’uscita di Siemens il suo debito salirà a 5,5 miliardi di euro (fonte Wall Street Journal Europe 26 feb 2009).
Sarkozy sta semplicemente facendo da piazzista per le sue imprese e la posta in palio e’ alta, il costo dell’EPR finlandese attualmente e’ arrivato a 4,5 miliardi, Alessandro Clerici (nuclearista convinto e presidente del Gruppo di Lavoro WEC “Il futuro ruolo del nucleare in Europa”) stima in 5 miliardi il costo di un EPR oggi, per cui 4 EPR fanno ben 20 miliardi di euro! Mica male di questi tempi.
Ma attenzione il conto non e’ finito qui perché per arrivare al 25% di produzione da nucleare ci vorranno altre centrali e altri soldi (in totale si stimano 37,5 miliardi di euro in centrali) e perché il nucleare, non dimentichiamolo, e’ un sistema. Non come un parco eolico che si mette in piedi in qualche mese e si allaccia alla linea di distribuzione ed e’ finita li, o come qualche pannello solare che si monta sul tetto. No il nucleare consuma barre di uranio che dovremo importare dall’estero e produce pericolose scorie che vanno messe da qualche parte e custodite per qualche migliaio di anni. A questo riguardo gli italiani si ricordino che in bolletta alla voce A2 pagano ogni bimestre qualcosina per sistemare le vecchie centrali nostrane.
Nel bilancio 2006 della Sogin – la società italiana preposta allo smaltimento delle centrali – era riportata la cifra di 4,3 miliardi di euro per smantellare il totale dei 1.200MW che avevamo costruito. La stima che circolava lo scorso anno per costruire la discarica definitiva dove mettere il combustibile consumato, attualmente stoccato un po’ ovunque (in Italia e all’estero) e’ di (ulteriori) 1,5 miliardi.
Dunque siamo pronti a pagare?
Noi no, a noi sembra più conveniente pensare ad altre risorse per produrre energia. Risorse che non sono chimere visto che il nostro paese, pur fra le sue mille contraddizioni, nel 2008 ha installato 1,010 MW di eolico (fonte Enav) e con questa fonte ha prodotto 6.637 milioni di Kwh (+62,9% rispetto al 2007, dati TERNA), e installato circa 300 MW di fotovoltaico (fonte GSE). All’estero gli USA in epoca ancora pre-Obama hanno installato eolico pari a 8 volte quello installatoda noi ( e sono balzati subito in prima posizione superando la Germania), seguiti dalla Cina (6 mila MW) e dall’India (fonte GWEC). Che dire poi della riqualificazione energetica degli edifici italiani? Basta ricordare che il nuovo che si costruisce annualmente in base a nuovi parametri è circa pari a un 3%, ma è l’esistente, pari al 97%, la miniera nascosta di energia risparmiabile e di posti di lavoro.
In economia si dice che ogni paese debba sfruttare le proprie risorse, nel commercio si persegue la specializzazione seguendo la legge dei vantaggi comparati, perché non fare lo stesso in materia di energia? Perché copiare un paese vicino quando abbiamo altre risorse naturali che ci renderebbero davvero indipendenti da ricatti esterni, riducendo le emissioni inquinanti?
Ma forse e’ una soluzione troppo semplice che non permette la gestione di grandi commesse…
Roberto Meregalli (Beati i costruttori di pace)
Roberto Brambilla (Rete Lilliput)
Mario Agostinelli (Unaltralombardia)
24 Novembre 2024