I giudici danno ragione agli ambientalisti: la Provincia di Grosseto ha autorizzato l’impianto senza valutare bene l’impatto sulla salute degli abitanti della zona
GROSSETO. L’inceneritore di Scarlino è la fonte che produce diossina e altri inquinanti, come idrocarburi e policiclici aromatici, in maniera significativa; la popolazione esposta a questa diossina presenta già un incremento pregresso (dal 2000 al 2009) di tumori, nascite premature e linfomi; questo livello di esposizione non è stato “valutato e considerato adeguatamente in sede di rilascio dell’Aia” per l’inceneritore. E per questo l’autorizzazione rilasciata dalla Provincia alla Scarlino Energia, proprietaria dell’impianto, è annullata.
Così ha deciso stamani, martedì 20 gennaio, il Consiglio di Stato, chiamato a pronunciarsi sul ricorso presentato dal Comune di Follonica, difeso dall’avvocato Massimo Luciani, e dalle associazioni ambientaliste Forum Ambientalista, il Comitato per il no all’inceneritore di Scarlino e Wwf Italia, rappresentate dall’avvocato Sergio Nunzi, contro la Provincia di Grosseto (avvocato Paolo Carrozza) che nel 2009 ha rilasciato alla Scalino Energia (avvocati Mario Pilade Chiti e Giuseppe Le Pera) l’autorizzazione a realizzare l’inceneritore. La società aveva chiesto di ammodernare la centrale elettrica, alimentandola con le biomasse e il cdr, il combustibile ricavato bruciando i rifiuti, esattamente sette anni fa, il 25 gennaio 2008.
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La Provincia di Grosseto, guidata allora da Leonardo Marras (Pd), un anno dopo dice di sì. Subito parte una durissima battaglia a colpi di dati e consulenze da parte del Forum Ambientalista di Roberto Barocci, paladino di moltissime campagne contro l’inquinamento nel territorio, e del comitato specifico contro l’inceneritore, nato già negli anni Novanta quando cominciarono a circolare le prime indiscrezioni sulla costruzione di un inceneritore. E le ragioni degli ambientalisti trovano l’appoggio del Comune di Follonica, guidato dall’allora sindaco Eleonora Baldi (anche lei esponente del Pd) preoccupato per la salute dei cittadini di Follonica che vivono vicino al polo industriale di Scarlino.
Le ragioni degli ambientalisti sono semplici: la piana di Scarlino è già inquinata da una attività industriale chimica ultradecennale. Le bonifiche non sono state fatte, non sono completate e quelle portate a termine non convincono gli ambientalisti. Su un ambiente così compromesso, per gli ambientalisti è fuori ogni logica costruire un impianto come l’inceneritore, che naturalmente nella sua attività produce inquinanti, prima fra tutte la diossina.
Partono i ricorsi al Tar, che nel 2011 conferma le tesi degli oppositori e blocca l’impianto. Scarlino Energia e Provincia fanno ricorso al Consiglio di Stato e ancora una volta perdono: nell’ottobre 2012 i giudici romani danno ragione agli ambientalisti e bocciano definitivamente le procedure seguite dalla Provincia di Grosseto per autorizzare l’impianto, accentuando addirittura la gravità dei rilievi mossi in primo grado dal Tar.
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A distanza di una settimana, però, il colpo di scena: la Provincia di Grosseto rilascia una nuova autorizzazione e l’inceneritore prosegue la sua attività. Contro questa decisione il Comune di Follonica e gli ambientalisti interpellano di nuovo il Tar che, però, non si pronuncia: nel frattempo, infatti, la Scarlino Energia cambia ragione sociale, e tanto basta ai giudici fiorentini per dichiarare il ricorso improcedibile.
A questo punto Comune e ambientalisti fanno appello al Consiglio di Stato e qui si arriva alla sentenza del 20 gennaio 2015. Il Consiglio di Stato non solo reputa che la scissione della società non cambi di fatto la natura delle sue attività, ma entra anche nel merito dell’inquinamento contestato dagli ambientalisti e riconosce alcune mancanze della Provincia al momento di concedere l’autorizzazione.
Ecco alcuni stralci della sentenza “Lo stato di salute delle popolazioni coinvolte e le condizioni dei corpi idrici presenti nell’area interessata dallo stabilimento in questione non (sono) state convenientemente disaminate e considerate, con conseguente sussistenza al riguardo dei dedotti vizi di difetto di istruttoria e di motivazione”, scrivono i giudici. E ancora: “A pagina 18 della relazione del Comune si afferma che – con riferimento al carico corporeo di PCB diossina – il raffronto con quanto disponibile presso il Center for Disease Control di Atlanta, ossia il laboratorio mondiale per l’analisi di sostanze dioxin like, consente di acclarare che per i teq totali i valori della popolazione di Follonica e di Scarlino arrivano a oltre 45 ppt contro i 6,7 della popolazione femminile della popolazione degli Stati Uniti. Questo dato – pur non avendo acquisito un rilievo oggettivo sulla base di disposizioni di legge – ha comunque un rilievo sotto il profilo procedimentale, poiché ragionevolmente evidenzia un consistente livello di esposizione della popolazione coinvolta dall’impianto per cui è causa, livello di esposizione che non è stato, di per sé, valutato e considerato adeguatamente in sede di rilascio dell’Aia”.
Il Consiglio di Stato mette anche un punto fermo su quale sia la fonte di questi inquinanti: “Da elementi ben più recenti e parimenti acquisiti agli atti dei procedimenti di primo grado (nota dell’Azienda Usl) consta che “gli inquinanti che sono stati emessi in maniera significativa dalle industrie presenti sul territorio risultano … idrocarburi, policiclici aromatici e diossine, la cui sorgente emissiva industriale più importante è l’inceneritore di Scarlino Energia”. Pertanto, a fronte delle numerose e documentate circostanze di sforamento dei vari valori di riferimento per l’inquinamento, sia dell’aria che dei corpi idrici presenti in loco, l’affermazione di carattere generale del soggetto proponente l’iniziativa… doveva essere seguita da una specifica attività istruttoria, in ordine agli effettivi agenti inquinanti già presenti e alla potenziale incidenza che su di essi si sarebbe potuta riscontrare a seguito dello svolgimento dell’attività, oggetto delle istanze della società”.
I giudici romani riconoscono che è mancato, da parte della Provincia, uno “previo e puntuale studio epidemiologico dell’area interessata dalla realizzazione dell’impianto”. Scrivono: “I dati alquanto risalenti nel tempo elaborati dal proponente non adeguatamente possono raffrontarsi, al fine di pervenire ad un apprezzamento della situazione concretamente in essere, con quelli ricavabili dall’indagine specificamente svolta al riguardo dalla medesima Azienda Usl 9, comprendenti il periodo 2000 – 2009: indagine che la stessa Usl definisce peraltro non ottimale e dalla quale si rileva che nel lasso di tempo considerato sussisterebbe un incremento dl 36% dei tumori alla vescica per la popolazione maschile e del 117% per quella femminile, oltreché un sensibile incremento di nascite premature e di ricoveri per linfoma non-Hodgkin”. Insomma, con una percentuale così alta di tumori era necessario approfondire meglio l’impatto di un altro impianto inquinante sul territorio.
In sostanza, “tutta l’istruttoria relativa alle condizioni del Canale Solmine va rifatta considerata inadeguata, stante la rilevata concentrazione ab origine di PCDD e PCDF dei fanghi dell’impianto di trattamento di scarico in misura superiore di almeno due ordini di grandezza rispetto a quella rilevata per gli altri scarichi presenti nel canale emissario da parte dell’Arpat, nonché le parimenti rilevate concentrazioni di idrocarburi policiclici aromatici in misura comunque superiori a quelle consentite e le morie di pesci (1° dicembre 2012) determinate dalla mancanza di ossigenazione e dall’aumento della temperatura dell’acqua, ragionevolmente incrementabile – quest’ultima – per effetto dell’apporto dato dall’inceneritore”.
Il Consiglio di Stato, dunque, accoglie e ricorso e annulla tutte le autorizzazioni all’impianto.
Francesca Ferri – Il Tirreno
22 Novembre 2024