Lo sversamento da una piattaforma petrolifera a largo dell’isola tunisina di Kerkennah, circa 120 km da Lampedusa, mostra i rischi delle trivellazioni in mare: un incidente relativamente modesto ha deturpato le spiagge dell’isola, che vive di pesca e turismo. Un monito verso il referendum.
Nella notte tra il 12 e il 13 marzo un centinaio di km a Sud di Lampedusa, a largo dell’isola tunisina di Kerkennah, è successo un fatto, seppur passato quasi sotto silenzio, che dovrebbe far riflettere gli italiani in vista del referendum sulle trivellazioni in mare del 17 aprile.
Un tubicino (pare di un centimetro di diametro) di una piattaforma, la Cercina 7 della società Thyna Petroleum Services si è rotto, a quanto riportano fonti di stampa tunisine che hanno interpellato il Ministero dell’Industria e dell’Energia di Tunisi in merito all’incidente.
Gli abitanti della località turistica la mattina di domenica 13 al loro risveglio hanno trovato le spiagge nere, imbrattate di greggio, come si vede dalle foto sotto pubblicate sulla pagina facebook “Kerkennah Islands” (messe in dubbio dal Ministero tunisino, che minimizza l’accaduto), ma anche dalle immagini meno inquietanti inviate dalla stessa compagnia petrolifera alla testata Africa Manager (qui).
Non è il primo incidente: una condotta della stessa piattaforma, situata a 7 km dalla costa, già nel 2010 aveva causato uno sversamento.
L’avvenimento, particolarmente scomodo per l’industria del petrolio a pochi giorni dal referendum del 17 aprile in Italia, è stato praticamente ignorato dai media. Ma a richiamare l’attenzione sulla “marea nera” è arrivata Legambiente, che in una nota chiede al Governo di intervenire affinché si faccia chiarezza sull’entità dei danni e sulle responsabilità.
L’incidente – denuncia l’associazione – è stato praticamente ignorato dalla stampa, escluso qualche sito tunisino che riporta che i ministeri tunisini della Salute e dell’Ambiente hanno aperto un’inchiesta per chiarire le responsabilità della società Thyna Petroleum Services, a cui sarebbe imputabile il danno. È stato messo in pratica il programma nazionale d’intervento rapido e, secondo le autorità tunisine, la situazione sarebbe sotto controllo e il danno relativo. “Ma per la società civile che risiede sull’isola, di cui sono stati ricoperti di greggio tre chilometri di spiaggia, è invece una vera e propria catastrofe ecologica e sociale. Le conseguenze dell’incidente sono, infatti, drammatiche per la popolazione dell’arcipelago che vive essenzialmente di pesca”, denuncia il comunicato.
“Non occorrono incidenti del genere per dimostrare che le attività di ricerca e di estrazione di idrocarburi possono avere un impatto rilevante sull’ecosistema marino – commenta la presidente di Legambiente Rossella Muroni – ma questi episodi drammatici fanno purtroppo da ulteriore monito sulle possibili conseguenze delle attività delle piattaforme. Anche le attività di routine possono, peraltro, rilasciare sostanze chimiche inquinanti e pericolose nell’ecosistema marino, come olii, greggio, metalli pesanti o altre sostanze contaminanti, con gravi conseguenze sull’ambiente circostante (si veda l’ultimo dossier di Greenpeace, ndr). ”
“Senza considerare – aggiunge la presidente di Legambiente – che i mari italiani sono mari ‘chiusi’ e un eventuale incidente nei pozzi petroliferi offshore o durante il trasporto di petrolio sarebbe fonte di danni incalcolabili con effetti immediati e a lungo termine su ambiente, qualità della vita e con ripercussioni gravissime sull’economia turistica e della pesca”.
Redazione Qualenergia.it
24 Novembre 2024