In America è nata The Repair Association, racchiude i professionisti, gli hobbisti e i consumatori che non ne vogliono buttare via gli oggetti guasti, ma rivendicano il diritto di riparare di tutto, dal telefonino al trattore. Contro le logiche delle multinazionali che rendono sempre più complesso l’accesso ai dati e agli strumenti che consentirebbero una seconda vita ai prodotti guasti .
Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si aggiusta. Forse è proprio partendo dalla rivisitazione di questa legge fisica che in America è nata la “lobby dei riparatori”. Ampliando il lavoro avviato dal Digital Right to Repair, nasce appunto The Repair Association, una nuova coalizione che lega in sé i professionisti, gli hobbisti e i consumatori che non ne vogliono proprio sapere di buttar via gli oggetti guasti, ma che rivendicano il diritto di regalargli una seconda vita. Si contano più di 3 milioni di “addetti ai lavori” nel campo della riparazione e del riutilizzo solo negli Stati Uniti: riparano telefoni, sistemano frigoriferi, riconvertono i server, rimettono in sesto trattori, solo per fare qualche esempio, e i loro sforzi congiunti hanno dirottato milioni di prodotti destinati alle discariche, e hanno anche permesso un supporto sostanzioso alla micro-economia. Punto non secondario, perché questa associazione oltre al suo chiaro scopo pratico, ha una mira più alta e decisamente più complessa: combattere il monopolio delle multinazionali che impongono le loro regole sui pezzi di ricambio e che più in generale puntano al concetto di sostituzione del prodotto.
In altre parole questo gruppo di tutela vuole fare pressione affinché la riforma del Digital Millennium Copyright Act – lo statuto che rende illegali la produzione e la divulgazione di tecnologie, strumenti o servizi che possano essere usati per aggirare le misure di accesso ai lavori protetti dal copyright – diventi più flessibile ed incorpori il “diritto all’aggiustare”, qualunque sia l’oggetto e qualunque sia l’ambito. Che si parli di un telefonino, della propria automobile, di una macchinario medico o della propria console poter ottenere pezzi di ricambio deve essere un diritto acquisito anche per i privati consumatori e non un’esclusiva (quando concessa) delle grandi catene associate.
“L’industria della riparazione si trova ad affrontare sfide uniche – dice Kyle Wiens, CEO di iFixit, la comunità di riparazione online promotrice dell’iniziativa – L’elettronica integrata sta rendendo più difficile la possibilità di sistemare le cose. In più i produttori continuano a limitare l’accesso alla documentazione di servizio, ai componenti e ai software, il che costringe i consumatori, che non vogliono scegliere di buttar via il proprio prodotto, ad affidarsi a costose riparazioni realizzate dal produttore o da centri affiliati; una praticha questa che spinge inevitabilmente i piccoli negozi di riparazione fuori dal mercato”.
Per questo con la sua nascita The Repair Association vuole sottolineare e gridare a gran voce a livello nazionale che è necessaria la messa in atto di un mercato di riparazione competitivo, che permetterebbe anche un miglioramento della qualità e una longevità indiscussa dei devices. “Quando i produttori possiedono l’unico negozio di riparazione in giro, i prezzi salgono e la qualità va giù. La concorrenza è meglio per i clienti, ma i negozi di riparazione sono alle prese con le pratiche sleali delle multinazionali. I consumatori e professionisti devono e stanno iniziando a reagire”, si legge nel manifesto dell’organizzazione. In più: “I software sono diventati onnipresenti. Dalle automobili agli elettrodomestici di uso quotidiano, tutto è controllato in qualche modo dalla tecnologia e dall’informatica, per questo oggi più che mai abbiamo bisogno di organizzazioni come questa che tutelino i consumatori e liberino l’accesso alle documentazioni”, afferma Corynne McSherry, direttore legale di Electronic Frontier Foundation. Quindi che si parli di dispositivi medici o strumentazioni per l’allevamento poco cambia.
Riassumendo gli obiettivi di questa nuova “lobby” sono chiari e puntano su questi cinque aspetti fondamentali: accesso imparziale alla documentazione e ai software necessari alle riparazioni, possibilità di reperire liberamente e facilmente parti di ricambio e strumenti, possibilità di sbloccare e modificare software e firmware, libero mercato che consenta anche la rivendita di prodotti (incluso i software necessari per il funzionamento), ed infine un ultimo aspetto a monte della catena: già a livello di produzione bisogna tenere maggiormente in considerazione i princìpi di riciclaggio e riparazione. Queste le basi su cui costruire una poltica del riutilizzo sostanzialmente più efficiente, che consenta un ruolo competitivo per i consumatori. Senza dimenticare che riparare vuol dire anche creare posti di lavoro e benefici per l’ambiente, allungando la vita dei prodotti elettronici e quindi riducendo la loro dismissione. Uno sviluppo più attento può quindi partire anche da una cassetta attrezzi: perché rotto non vuol dire da buttare. di NICOLA PERILLI Repubblica
23 Novembre 2024