Giovannini (Asvis): «Preoccuparsi del bene comune è un obbligo. Elemento discriminante non solo per le imprese ma per il mondo». L’Italia è molto indietro nel percorso che dovrà portarla a raggiungere i 17 obiettivi Onu per lo sviluppo sostenibile al 2030 che anche il nostro Paese ha sottoscritto un anno fa. Secondo il rapporto recentemente pubblicato dall’Asvis, in questo percorso, l’Italia risulta infatti in «26esima posizione sui 34 paesi Ocse». È necessario accelerare, e una buona spinta potrà arrivare dalle imprese di servizi pubblici locali.
È quanto sostenuto da Enrico Giovannini, ex ministro e ora portavoce di Asvis, nel corso del convegno promosso ieri a Roma da Utilitalia, associazione che riunisce i soggetti operanti nei servizi pubblici dell’acqua, dell’ambiente, dell’energia elettrica e del gas. «Preoccuparsi del bene comune è un obbligo. È un elemento discriminante non solo per le imprese – ha rilevato Giovannini – ma per il mondo. Oggi o cambiamo il mondo o al 2030 il Pianeta collasserà. Abbiamo 17 obiettivi sullo sviluppo sostenibile. Tra questi – ad esempio – il fatto che entro il 2020 tutte le città dovranno dotarsi di strumenti per la resilienza. È nell’ambito locale che le imprese di servizi pubblici hanno un ruolo fondamentale. Coinvolgere i cittadini in un programma di educazione per lo sviluppo sostenibile».
Non a caso anche Utilitalia contribuisce a formare la compagine Asvis. «Non c’è futuro per l’impresa che non si preoccupi del miglioramento della società – ha dichiarato il presidente Utilitalia, Giovanni Valotti – Tutela dell’ambiente, attenzione alle persone, solidarietà, creazione di opportunità per i meritevoli, sono i pilastri irrinunciabili di un’impresa moderna e responsabile. L’unica che possa sopravvivere nel lungo periodo».
Secondo Utilitalia nei piani industriali delle imprese queste politiche possono svolgere un ruolo centrale, sia per la crescita sostenibile del Paese che per il raggiungimento degli obiettivi di Agenda 2030, i 17 obiettivi di sviluppo sostenibili (SDGs – Sustainable Development Goals) votati dalle Nazioni Unite nel settembre 2015. Nello studio della Fondazione Utilitatis – analisi di benchmarking sulla sostenibilità come leva di qualità e di sviluppo delle utilities – emerge infatti che il 75% delle aziende di servizi pubblici del panel analizzato, redige il bilancio di sostenibilità e che nel 65% dei casi questo viene approvato dal consiglio di amministrazione. Aziende che agiscono sulle economie territoriali impiegando il 52% della spesa per fornitori locali. Realtà d’impresa che producono il 44% dell’energia con fonti rinnovabili e i cui termovalorizzatori – tanto per fare un esempio – hanno emissioni molto al di sotto dei limiti stabiliti per legge (85% in meno del limite stabilito).
«C’è tanta retorica della sostenibilità e qualche pregevole documento ma le imprese competitive hanno la responsabilità sociale quale componente essenziale e valore guida della proprio strategia – ha concluso Vallotti – Sullo sfondo emerge una nuova concezione di impresa, fondata sulla ricerca di un profitto di qualità, capace di generare valore per tutti i portatori di interesse, a partire dai cittadini. È tutto ancor più vero se ci si occupa di servizi di pubblica utilità. L’orizzonte a cui tendere è quello di imprese che fanno bene, facendo del bene. Tra queste, sempre più, nei prossimi anni troveremo le public utilities meglio gestite e più competitive».
22 Novembre 2024