Si moltiplicano gli annunci di paesi che vieteranno la vendita di veicoli a combustione interna entro uno o due decenni. I costruttori si accelerano le conversioni strategiche. L’accelerazione della Cina. Mentre in Italia il quadro è desolante, ma potrebbe cambiare rapidamente.
Ormai è chiaro che il prossimo decennio vedrà una profonda trasformazione del mondo dell’auto. Per rendersi conto del rapido mutare della percezione dei cambiamenti in atto basta segnalare l’evoluzione delle valutazioni di Bloomberg New Energy Finance. Nel rapporto 2016 la percentuale delle vendite di veicoli elettrici al 2040 veniva stimata pari al 35% del mercato mondiale, nell’edizione 2017 la quota è balzata al 54% (e molto probabilmente è ancora un dato sottostimato).
Del resto si moltiplicano gli annunci di paesi che intendono vietare la vendita di veicoli a combustione interna. Norvegia e Olanda parlano del 2025. L’India e il Bundesrat tedesco indicano il 2030. Per ultima la Francia ha posto l’asticella sulla data, invero molto lontana, del 2040.
È chiaro che si è innescato un effetto valanga, tanto che dobbiamo solo chiederci quale sarà il prossimo paese ad uscire allo scoperto (non certo l’Italia …).
Anche sul fronte dei costruttori si accelerano le conversioni strategiche verso i veicoli elettrici fino ad arrivare alla convertire completamente la produzione, come ha deciso di fare la Volvo di proprietà cinese, a partire dal 2019.
Il legame della Volvo con Pechino spiega molte cose. Non essendo riuscita a competere con i grandi produttori di veicoli convenzionali, la Cina sta tentando il sorpasso delle grandi case straniere attraverso la mobilità elettrica. Pechino è già il numero uno mondiale in questo comparto (Auto elettrica, le case automobilistiche chiedono alla Cina di frenare, ndr).
E veniamo a noi. Il quadro italiano è desolante, con un mercato fermo allo 0,1% delle vendite (1.800 auto nel 2016), con valori pari ad un decimo della media europea. Per non parlare del confronto con le eccellenze come la Norvegia dove ormai ogni due auto vendute una è elettrica.
Sappiamo che questa situazione è figlia di una miopia della politica condizionata in passato dalle scelte di Fiat/Fca ostili a questa tecnologia e dalla spinta dell’Eni sulla trazione a metano. Eppure le cose potrebbero cambiare e anche in fretta. Vediamo alcuni elementi in grado di innescare la svolta.
Partiamo dal calo dei prezzi. Grazie alla rapidissima riduzione dei costi delle batterie, entro la metà del prossimo decennio i veicoli elettrici saranno meno costosi di quelli a combustione a interna. Peraltro già oggi si possono trovare veicoli elettrici allo stesso prezzo di quelli a benzina/diesel. È questo il caso, ad esempio, di alcuni modelli della BMW.
Gli obiettivi europei sulle emissioni di CO2 dei veicoli rappresenteranno inoltre un percorso obbligato verso l’elettrico. Il valore di 78 g/km proposto per il 2025 e quello ancora più stringente che verrà adottato per il 2030 impongono che nelle flotte vendute una quota crescente sia rappresentata da veicoli elettrici.
Un terzo fattore che potrebbe sbloccare il nostro immobilismo riguarda i turisti stranieri (una sessantina di milioni l’anno) che contribuiscono in maniera importante all’economia del nostro paese. È evidente che nel prossimo decennio una quota crescente dei visitatori del centro e nord Europa verranno da noi a bordo di un’auto elettrica. Se non li vogliamo perdere dovremo creare per tempo una seria rete di infrastrutture di ricarica. Nel 2012 erano stati stanziati 50 milioni di euro per questo scopo, ma paradossalmente finora solo una minima parte dei fondi è stata utilizzata.
E qui veniamo ad un quarto elemento favorevole. Sono finalmente spuntati importanti sostenitori industriali della mobilità elettrica. L’Enel innanzitutto, che ha creato una nuova apposita direzione e che si candida a realizzare colonnine di ricarica. Ma anche altre società sono impegnate in questa direzione, come Alpiq, forte della sua esperienza in Svizzera. Dunque su questo versante la situazione è destinata a sbloccarsi.
Consideriamo infine un quinto elemento favorevole alla diffusione dell’elettrico. In presenza di una quota elevata di solare ed eolico (che contribuiranno per almeno un terzo alla domanda elettrica del 2030) un ruolo decisivo nella stabilizzazione della rete verrà proprio dalla presenza di un ampio parco di veicoli elettrici.
Dell’atteggiamento negativo della Fiat/Fca si è già detto. Ma, visto che la mobilità elettrica rappresenterà la novità del prossimo decennio, un paese che afferma orgogliosamente di essere la seconda potenza industriale europea dovrebbe attivare politiche incisive per favorire una nostra presenza in questo settore emergente.
Da un lato, c’è infatti il rischio che molte aziende italiane che lavorano sulla componentistica per case automobilistiche straniere entrino in crisi con i cambiamenti in atto. E d’altra parte si aprono straordinarie opportunità. Sono infatti presenti nel nostro paese piccole realtà, anche di eccellenza, già impegnate su questo fronte. Occorre aggregarle, investire in ricerca, attirare sia capitali che aziende straniere interessate ad investire nell’elettrico.
Il problema è che al momento, sul versante istituzionale manca la comprensione della vastità dei cambiamenti in atto. Ci sono segnali di un qualche interesse, come il tavolo alla presidenza del consiglio coordinato da Tiscar, ma si è ancora lontani dall’avvio di una seria politica.
Del resto, anche nel documento della SEN non ci si sofferma su questa prospettiva. Viene sì lanciato un numero, 5 milioni di auto elettriche al 2030, ma mancano totalmente gli strumenti e le politiche che dovrebbero portare a questo risultato (e parliamo del Ministero dello Sviluppo Economico!).
Noi diciamo che l’obiettivo potrebbe essere anche 2-3 volte maggiore in presenza di una seria strategia e che si tratta di una straordinaria opportunità da cogliere.
Gianni Silvestrini – QualEnergia.it
22 Novembre 2024