Come vincere la paura in azienda. Parola di manager
Come vincere la paura? Lo spiega un libro. L’autore, Sergio Casella, è il presidente della Pcmc – Paper Converting Machine Company Italia, con sede nella zona industriale del Chitarrino a Fornaci di Barga. E presenterà il volume domani (4 aprile) alle 18 al Caffè Letterario Lucca Libri in vale Regina Margherita. L’autore dialogherà con Alessio Ciacci, ex assessore comunale a Capannori e amministratore di società municipalizzate in diverse realtà italiane, e con il giornalista Giulio Sensi, presidente di Geal Spa.
Lucca in Diretta, alla vigilia della presentazione, ha rivolto qualche domanda all’autore e agli altri protagonisti della serata.
Per primo parla proprio il manager Sergio Casella.
Prima la morale aziendale, ora un libro su come vincere la paura in azienda. Allora è possibile fare impresa senza guardare solo alla logica del massimo profitto?
Il profitto è necessario ma ci dimentichiamo spesso che a generarlo sono le persone che lavorano in azienda. I modelli classici di management hanno sempre visto la generazione del profitto e la vita delle persone su sue linee parallele che mai potevano incontrarsi. Nel nome del primo, le seconde potevano essere sacrificate. In realtà la generazione di profitto passa dalla vita delle persone, la retta è una e le persone sono un punto della retta che viene prima del punto del profitto. La azienda prospera se le persone che in essa lavorano stanno bene, si sentono sicure e protette e sentono quello che fanno come proprio. La logica del massimo profitto è ciò che ha distrutto molte organizzazioni e continua a mietere vittime ancora oggi accomunando nello stesso tragico destino persone ed aziende. Questo comporta politiche a breve per ottenere risultati immediati che come tali si esauriscono nell’arco di pochi trimestri, molte volte lasciando dietro di loro una cronica incapacità di ripresa. Sarebbe opportuno sostituire questo termine, massimo profitto con un altro, più strategico, sostenibilità economica, il garantire risultati, forse non massimi, ma dignitosi e continui. Più difficile? Sicuramente, occorrono politiche a lungo termine e vision su cui costruire una “comunità azienda” dove i bisogni sono trasformati in valori.
Uno degli elementi più interessanti che emerge dal saggio è che la paura in azienda rappresenta anche un costo, una perdita, una voce negativa. Come è possibile arginare questa emorragia che è allo stesso tempo emotiva ed economica?
La paura negativa o patologica in azienda è costosissima. Rallenta se non immobilizza i processi, non fa accadere le cose, genera conflitti. Il paradosso è che siamo bravissimi ad alimentarla ed incrementarla ogni giorno, inoculandone anche di nuova nelle nostre organizzazioni. Il discorso sarebbe lungo ma lo renderò semplice con un gioco di parole; la cura è la cura. E’ una relazione di cura che instauro con le persone che riesce a convertire la paura da negativa immobilizzante a positiva e quindi in accettazione di sfide. La stessa paura che può potare ad un totale insuccesso è quella che se, opportunamente canalizzata è la nostra più grande alleata per farci accettare sfide e vincerle.
Uno degli atteggiamenti più diffusi di fronte alla paura è quello della fuga. Si può dire, quindi, che il leader è colui che interiorizza la paura e la affronta per superarla?
Quando sono nel vortice della paura metto in atto una serie di azioni, ripetitive e ridondanti che la amplificano aggravandone le conseguenze, immobilismo, fuga, sostituzione, negazione, posticipazione. Creando un ambiente protettivo, riduco le paure al minimo e con una relazione di cura, guido le persone ad affrontarle, se una paura viene affrontata si tramuta in coraggio e accettazione della sfida. E le cose accadono. Il leader, riconosce la paura e la affronta per primo, si espone, e porta i suoi con lui su una strada sicura, una volta che i suoi avranno toccato la paura questa svanirà.
Su una tavoletta sumera c’era scritto: “La paura guardata in faccia diventa coraggio, la paura evitata diventa timor panico”
Gli fa eco Alessio Ciacci, ex assessore a Capannori e manager di diverse aziende municipalizzate
Anche lei ha avuto esperienze alla guida di aziende, municipalizzate. Ha vissuto esperienze di paura aziendale, oppure questo concetto vale solo nel privato. In caso affermativo come le ha affrontate o ha contribuito ad affrontarle?
Assolutamente si, ed il primo libro di Casella, La morale aziendale per me è stato fondamentale per costruire modelli di coinvolgimento che costruissero comunità e clima di fiducia nelle aziende. Come ha scritto Sergio nel suo primo libro troppo spesso i dirigenti in azienda (pubbliche o private che siano) puntano su incutere paure, sul dividi ed impera, per affermare il proprio dominio. Ma come scriveva Danilo Dolci c’è un abisso tra potere come dominio e potere come servizio, sono l’esatto opposto. Con questo nuovo bellissimo libro Casella offre un altro fondamentale strumento per aiutare le aziende (e non solo) a uscire dai vecchi schemi e costruire percorsi di successo basati sulla crescita di una squadra che punta a superare schemi e limiti spesso solo mentali. Come? Facendo sentire ognuno appagato del proprio lavoro, riconosciuto nei propri meriti e come scrive Casella accresca la “libertà responsabile” che faccia crescere la fiducia e l’autostima per accantonare conflitti e paure. Anche questo secondo libro di Casella è assolutamente da non perdere.
Infine il giornalista e attuale presidente di Geal Spa, Giulio Sensi
Nel libro di Casella l’azienda viene valutata anche secondo parametri che non sono economici. Ci sono, secondo lei, concetti e principi del no profit che possono essere applicati anche nelle aziende vocate al profitto? Se sì, quali?
Le contaminazioni, o le vere e proprie ibridazioni, fra modelli di impresa sono al centro di tante esperienze innovative. Il profitto non è visto più come un obiettivo, ma solo come il risultato di un’azione corale dell’azienda. + sempre più evidente che il valore di un’azienda non è solo né tanto nei suoi risultati economici – che sono importanti naturalmente – ma è costruito tramite una pluralità di parametri che misurano le performance su più dimensioni. Pensiamo alla qualità delle relazioni fra lavoratori, alle misure di welfare aziendale, alla possibilità di conciliare il lavoro con le esigenze familiari, alla crescita e responsabilizzazione in particolare dei più giovani. Spesso nel non profit si sperimentano questi principi, ma sempre più frequentemente è il profit a praticarli. Si sta capendo sempre di più – e il libro e l’esperienza di Sergio Casella ne è un grande esempio – che non si può scindere il tema del risultato economico dell’azienda dal benessere dei lavoratori. LuccaInDiretta
21 Novembre 2024