Gli enti locali italiani confermano il loro appoggio agli obiettivi europei del 20-20-20
Confermano il loro pieno appoggio agli obiettivi europei del 20-20-20, aderiscono alla proposta di un ”Patto Territoriale delle Regioni e delle Autorità Locali nell’ambito della Strategia Europa 2020” formulata dal Comitato delle Regioni, credono nella possibilità di elevare al 30% l’obiettivo di riduzione delle emissioni di gas climalteranti, chiedono al governo italiano di essere coinvolte attivamente nella redazione di un Programma nazionale per il clima e ribadiscono la necessità di escludere dal patto di stabilità gli investimenti locali in progetti finalizzati alla mitigazione e all’adattamento al cambiamento climatico, tramite maggiore ricorso all’efficientamento, al risparmio energetico e all’utilizzo di fonti rinnovabili. Sono questi gli elementi principali del documento, presentato a Roma questa mattina dal ”Tavolo di lavoro nazionale degli enti locali per il clima” nella sede della Rappresentanza della Commissione europea.
Il documento, già consegnato al governo nelle scorse settimane in vista del vertice Onu sul clima a Cancun, è stato sottoscritto da Agenda 21, Aiccre (Sezione italiana del Consiglio dei Comuni e delle Regioni d’Europa), Alleanza per il clima, Associazione nazionale comuni italiani (Anci), Associazione nazionale dei Comuni Virtuosi, l’Istituto Nazionale di Urbanistica, Kyoto Club e l’Unione Province Italiane (Upi).
Nel documento, fanno sapere Agenda 21, Aiccre , Alleanza per il clima, Anci, Associazione nazionale dei Comuni Virtuosi, Inu, Kyoto Club e Upi, si sottolinea l’urgenza di arrivare a un patto efficace sul clima che sostituisca il protocollo di Kyoto in scadenza nel 2012 e la necessità di lavorare, come riconosciuto a Copenaghen lo scorso anno, per mantenere il riscaldamento globale al di sotto dei 2 gradi centigradi.
Le associazioni sottolineano inoltre la necessità di riconoscere la centralità di città e territori nella lotta al cambiamento climatico, attraverso provvedimenti concreti, visto che l’80% delle emissioni di gas serra di origine antropica sono prodotte nei centri urbani. Le politiche per la mobilità pubblica, il risparmio energetico negli edifici, la limitazione del consumo di suolo, possono rappresentare infatti uno strumento fondamentale per un’efficace contenimento del cambiamento del clima. E l’efficacia passa necessariamente attraverso una reale individuazione di risorse.
”Le Città e le Autorità Locali Italiane – si legge infine nel testo – individuano in una economia locale a basse emissioni di carbonio, ecologica ed efficiente nell’uso delle risorse l’elemento centrale per il rilancio del Paese e per la creazione di nuovi posti di lavoro non delocalizzabili. Investire sul cambiamento climatico promuove l’innovazione, sostiene il mercato interno e migliora la competitività dell’Italia nel panorama internazionale”.
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Si è conclusa a Roma, alla Città dell’Altra Economia, “Che tempo che fa”, la due giorni di formazione e informazione su cambiamenti climatici, economia e lavoro organizzata da Amici dei Popoli, Fair, Fiom, Università Luiss e i due consorzi di ong europee Partnership for Change e Creating Coherence on trade and development, con il sostegno della Commissione Europea «Per analizzare le ragioni che legano a doppio filo due fenomeni apparentemente lontani come la crisi del lavoro e quella ambientale e capire la crisi del nostro modello di sviluppo».
All’iniziativa ha partecipato anche Maurizio Gubbiotti, responsabile del dipartimento internazionale di Legambiente che rappresenterà l’associazione alla Cop16 Unfccc in Messico, che ha esposto le proposte che il movimento ambientalista porta a Cancun.
Per Gubbiotti «La crisi climatica sta accelerando e va combattuta con forza e concretezza. Ci auguriamo fortemente che alla conferenza sul clima di Cancun, vengano finalmente poste basi reali per un cambiamento di rotta e una vera lotta alle emissioni climalteranti. Con impegni vincolanti e chiari obiettivi di riduzione per i paesi industrializzati, ma anche con un nuovo protocollo che ridefinisca la posizione di Cina, India e Brasile e delle economie emergenti, indicando, anche, le azioni che i paesi in via di sviluppo intendono mettere in pratica per limitare la crescita delle emissioni prevista nei prossimi dieci anni.
Solo così sarà possibile invertire una tendenza che vede aggravarsi la situazione di intere popolazioni e di vasti territori, in particolare del Sud del mondo, che per primi stanno pagando il prezzo drammatico dell’innalzamento delle temperature, del livello del mare e dell’intensificazione di fenomeni meteorologici estremi. Oltre a provocare crisi ambientali i mutamenti climatici aggravano le disuguaglianze tra paesi e quelle sociali. Così, se il vertice di Copenaghen, un anno fa, è stato un’occasione persa nella lotta al cambiamento climatico – perché si è chiuso senza impegni vincolanti per la riduzione delle emissioni e senza scadenze precise per la sottoscrizione di un nuovo trattato internazionale – è vero anche che l’appuntamento ha dato un chiaro segnale del coinvolgimento della società civile e della sua preoccupazione per le conseguenze del riscaldamento del pianeta. Per la prima volta, una Conferenza Onu sul clima ha visto la partecipazione di decine di migliaia di persone e centinaia di organizzazioni ambientali e sociali da ogni parte del mondo. Tante persone diverse a chiedere di partecipare con responsabilità e attenzione al processo decisionale sul futuro del pianeta. I governi hanno il dovere di rispondere. Dobbiamo spingerli a rispettare gli impegni presi e ad attuare soluzioni adeguate. A cominciare dai paesi industrializzati, che sono i maggiori responsabili della situazione attuale e che, entro il 2020, devono ridurre i gas serra almeno del 40% rispetto ai livelli del 1990. E su questo fronte, l’Europa non deve abbandonare la sua leadership, ma continuare a puntare con forza, nonostante le difficoltà, sullo sviluppo delle fonti rinnovabili e il potenziamento dell’efficienza energetica».
Di seguito, le richieste di Greenpeace:
1. Taglio delle emissioni: i Paesi industrializzati devono impegnarsi a ridurre le proprie emissioni tra il 25 e il 40% entro il 2020 rispetto al 1990, a prescindere dalle future politiche dei Paesi emergenti. Attualmente, con i tagli previsti dall’Unione europea e da altri Paesi, il proposito assunto a Copenaghen di contenere l’aumento della temperatura media entro i 2°C non potrà mai essere rispettato.
2. Maggiori investimenti: i Paesi ricchi devono farsi carico di gran parte degli investimenti richiesti per de-carbonizzare l’economia e mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici sui Paesi poveri. A Cancun chiediamo che venga istituito un Fondo per il Clima gestito dall’Onu da alimentare, per esempio, con una tassa sulle emissioni aeree e navali. È necessario un livello di investimenti globale pari a cento miliardi di dollari, per consentire a tutti i Paesi emergenti di raggiungere l’obiettivo comune di riduzione delle emissioni.
3. Un accordo quadro per le foreste e chi le abita: a Cancun dovrebbe essere approvato in via definitiva il sistema REDD (Riduzione delle emissioni dalla deforestazione e degradazione) attraverso il quale contabilizzare e premiare la mancata deforestazione degli ultimi polmoni verdi del Pianeta. Greenpeace non è contraria a questo nuovo sistema, ma chiede trasparenza e rispetto per le popolazioni indigene che, da sempre, abitano le foreste primarie e ne utilizzano le risorse in maniera intelligente e sostenibile. Per questo, deve essere istituito un Fondo Onu a salvaguardia di tali habitat e del loro potenziale climatico.
4. Accordi vincolanti post Kyoto: il Protocollo di Kyoto scadrà nel 2012. Ancora oggi rappresenta l’unico esempio di Accordo vincolante per gran parte delle nazioni del nostro Pianeta. Greenpeace chiede di superare i veti e le ostilità reciproche e di creare le basi affinché, entro il prossimo vertice di Durban nel 2011, si giunga all’approvazione di un nuovo Accordo vincolante. La crisi climatica non si può risolvere con azioni volontarie, occorre un patto con obiettivi certi e vincolanti per le parti firmatarie, unico strumento in grado di spingere le Nazioni verso scelte coraggiose.
Ed ecco i 4 punti chiave per il Wwf
1) Dovrebbe essere concordata la creazione di un fondo globale per il clima e dovrebbe essere fatta una dichiarazione chiara su come implementare le nuove e innovative fonti di finanziamenti per il clima che sono state proposte di recente dal Gruppo Consultivo di alto livello (High Level Advisory Group) del Segretario Generale dell’ONU.
2) Dovrà essere completato il testo sull’adattamento e dovranno essere prese decisioni riguardo alle diverse opzioni, per spianare la strada per l’attuazione del Quadro Generale di Attuazione delle Iniziative per l’Adattamento (Adaptation Action Framework for Implementation). Riguardo alla questione delle “perdite e dei danni”, le Parti dovranno essere pronte ad affrontare il fatto che alcuni impatti climatici sono già irreversibili e che i Paesi e le comunità vulnerabili hanno il diritto di essere assistiti quando tali perdite si verificano.
3) Il testo esistente del REDD (riduzione delle emissioni causate da deforestazione e degrado forestale) dovrà essere ulteriormente rafforzato per l’istituzione di efficaci sistemi nazionali che garantiscano che sia avviata la protezione delle popolazioni indigene e della biodiversità, e che le cause della deforestazione vengano affrontate sia dai paesi industrializzati sia da quelli in via di sviluppo. La “REDD+ partnership”, una iniziativa avviata da Norvegia e Francia su numerose foreste tropicali comprese quelle del Messico, ha già mobilitato 4,5 miliardi di $ USA per arrestare il processo di perdita delle foreste tropicali.
4) I paesi dovranno adottare formalmente gli impegni per il taglio delle emissioni presi nell’ambito dell’Accordo di Copenhagen e concordare in quale modo effettuare la misurazione, rendicontazione e verifica (“MRV”) di queste iniziative. Nella fase preparatoria di Cancun questo è stato oggetto di contrasti tra USA e Cina: gli USA dovranno chiarire la loro volontà di impegnarsi per efficaci regole internazionali comparabili a quelle degli altri paesi industrializzati. E anche la Cina dovrebbe accettare una forma di verifica internazionale delle sue iniziative di mitigazione attuate a livello nazionale.
23 Novembre 2024