In agricoltura oggi la parola d’ordine è “ricambio generazionale”. Perché se è vero, in termini generali, che l’Europa invecchia, nel settore agricolo il fenomeno è diventato una vera e propria emergenza, con record negativi nel nostro Paese. Negli stati dell’UE, infatti, i young farmers sono solo il 6% del totale, e la percentuale si dimezza se si guarda il caso italiano, con il 3% di giovani e il 45% di over 65, contro la media europea di 11 punti più bassa. E se non è automatico che i giovani siano più attenti alla sostenibilità ambientale, c’è però da pensare che, per cultura e formazione, vi siano più vicini che i loro padri. Sono i dati emersi nei tre giorni del meeting europeo Agriyou-Terra Giovane, organizzato a Roma da CIA – Confederazione Italiana Agricoltori e dal suo “ramo” giovanile Agia.
Il Ministro dell’Agricoltura Mario Catania ha definito la situazione «preoccupante». Joris Baeke, presidente del Ceja (Consiglio europeo dei giovani agricoltori), parla addirittura di «crisi demografica». I motivi, spiega Catania, sono due: «C’è prima di tutto un fattore culturale: nei decenni passati, in tutta Europa, l’agricoltura è stata vissuta come un fenomeno residuale, un’attività del passato; l’aspirazione di tutti era di andare a lavorare in città. C’è poi un fattore economico: la redditività dell’agricoltore rimane più bassa rispetto ad altre professioni». Luca Brunelli, presidente di Agia, punta il dito contro le politiche europee, che «in questi anni non sono state capaci di garantire un ricambio generazionale».
La posta in gioco è altissima: in mancanza di interventi ad hoc, continua Brunelli, «l’agricoltura rischierebbe davvero il default, perché non può sopravvivere per sempre se le nuove generazioni restano fuori dal mercato. Si arriverebbe allora a produrre senza agricoltura, perdendo tutta l’attività di gestione e tutela del territorio che oggi compiono gli agricoltori». E dovendo rinunciare, ricorda Dario Stefano, coordinatore degli Assessori Regionali all’Agricoltura, «a una tradizione produttiva che deve essere tramandata e che non possiamo rischiare di perdere».
Bisogna intervenire, insomma, su tutti quei punti che risultano critici anche per altri tipi di imprenditori. Perché la questione sta proprio qui: le aziende agricole vogliono essere trattate da imprese a tutti gli effetti e chiedono interventi in linea con questa logica. Anche perché i giovani imprenditori agricoli, quando ne hanno l’opportunità, sanno fare bene il loro lavoro. I dati del Ceja raccontano infatti una storia di successo e innovazione: gli agricoltori europei under 35 muovono oltre 10 miliardi di euro l’anno in termini di valore aggiunto (il 40% in più dei colleghi “maturi”) e investono il 37% in più dei senior sulla superficie agricola utilizzata per lo sviluppo della loro attività. «Bisogna far sì che a questi giovani spuntino le ali, che possano diventare imprenditori», dice Brunelli con una metafora. E Paolo De Castro, Presidente della Commissione Agricoltura del Parlamento Europeo, aggiunge: «E’ necessario rimettere al centro del dibattito l’agricoltura e l’impresa. Forse abbiamo smarrito l’importanza dell’impresa, che oggi deve vivere in un mercato globale, gestire le risorse ed essere capace di fornire reddito agli agricoltori».
Un primo passo, spiega il presidente della CIA Giuseppe Politi, si è visto nella bozza della PAC post-2013, in cui è stata accolta «la proposta lanciata dai nostri imprenditori dell’Agia, poi fatta propria dal Ceja, di assegnare ai giovani un pagamento diretto aggiuntivo fino al 2% del budget nazionale». Servirebbero però, secondo l’Agia, altre misure per contrastare le «criticità economiche che i giovani incontrano, come la difficoltà di accesso al credito, gli alti costi di avviamento, le barriere fiscali e burocratiche e la scarsa mobilità fondiaria». Per Brunelli, le tre cose su cui puntare sono «l’accesso alla terra, un alleggerimento della burocrazia e agevolazioni per il credito ai giovani, anche con politiche parallele alla PAC. Penso per esempio a un fondo di garanzia per i prestiti ai giovani agricoltori». A cui deve accompagnarsi «un dialogo tra generazioni». In questo senso, chiarisce Giuseppe Cornacchia, responsabile del dipartimento Sviluppo Agroalimentare e Territorio della Cia, «proponiamo di sperimentare il sistema dell’affiancamento: il giovane gestisce per un periodo l’azienda insieme a un agricoltore anziano, subentrandogli pian piano e riscattando gradualmente l’impresa, con benefici per entrambi».
Da parte degli agricoltori anziani, continua Cornacchia, «c’è un po’ di resistenza al ricambio generazionale, vista anche l’attuale situazione di contrazione dei fondi pubblici: se saranno destinati più finanziamenti ai giovani, di conseguenza verranno ridotti per gli altri». Ma contrastare la ventata di aria nuova sarà difficile e la storia di Chiara Innocenti, giovane imprenditrice aretina e presidente di Agia Toscana, ci dice che forse il futuro è già qui: «Ci hanno chiesto di essere folli. Io lavoravo in banca, guadagnavo 1.300 euro al mese sicuri, e se non fossi un po’ folle oggi non mi troverei qui».
Veronica Ulivieri
22 Novembre 2024