Una conferenza stampa e un presidio davanti a Montecitorio per dire no alle spese militari (foto). Giovedì 12 luglio ha visto la mobilitazione della campagna «Taglia le ali armi!», animata da Sbilanciamoci!, Rete Italiana per il Disarmo e Tavola della Pace per chiedere al governo la cancellazione del programma di acquisto di 90 cacciabombardieri F-35 e l’impiego dei fondi così risparmiati – 12 miliardi di euro in quindici-venti anni – verso destinazioni più «civili»: tutela delle pensioni (a partire da quelle degli esodati) e della sanità pubblica, diritto allo studio, trasporto locale, prevenzione del rischio idrogeologico, cooperazione internazionale. «Taglia le ali alle armi!» ha raccolto in pochi mesi oltre 75.000 firme e l’adesione di 650 organizzazioni della società civile e di oltre 80 enti locali tra regioni, province e comuni. Vale la pena dire subito che non è stato possibile consegnare le firme al governo, da cui non è pervenuta alcuna risposta rispetto alle reiterate richieste di confronto da parte delle reti promotrici dell’iniziativa. Le loro ricette, evidentmente, risultano indigeste ai tecnici.
Nella conferenza stampa che ha preceduto la presenza in piazza sono state invece illustrate analisi e ragioni alla base della contrarietà nei confronti del programma di acquisto degli F-35, smentendo la posizione ufficiale del ministero della difesa. Mentre i paesi esteri – in primo luogo Stati uniti e Olanda – partner del programma sollevano dubbi e perplessità sull’opportunità di comprare i caccia, il governo italiano ribadisce le proprie scelte fornendo al parlamento dati fuorvianti sui costi, incompatibili con quelli previsti dalle aziende produttrici e dalle stesse forze armate statunitensi. Francesco Vignarca della Rete italiana per il disarmo ha sottolineato l’ostinazione dei funzionari del ministero «che continuano, anche nelle audizioni parlamentari, a sostenere che ogni velivolo costerà meno di 80 milioni, mentre i dati del Pentagono già oggi si attestano su oltre 130 milioni di euro». I costi unitari per cacciabombardiere sono infatti raddoppiati dall’inizio della fase di sviluppo nel 2001 e solo il 17% dei test tecnici è stato completato. Del resto, non ci si può stupire della sordità del ministero della difesa: è stato l’attuale ministro, Ammiraglio Di Paola, a sottoscrivere nel giugno del 2002 la partecipazione italiana al programma Joint Strike Fighter. Errare è umano, ma perseverare, negando oggi l’evidenza dei problemi tecnici e prevedendo mirabolanti ritorni occupazionali, industriali e tecnologici, è diabolico.
Durante la conferenza stampa, è stata poi ribadita l’opposizione alla revisione dello strumento militare (il cosiddetto ddl Di Paola) in discussione in parlamento, un provvedimento che non porterà ad alcun risparmio, ma dirotterà risorse pubbliche su nuovi acquisti di sistemi d’arma, come confermato dalle decisioni prese nell’ambito della «spending review». Così, mentre il governo sceglie di tagliare ancora il welfare, le riduzioni per la difesa e l’acquisto di armamenti si limitano a poche decine di milioni di euro, con una diminuzione degli effettivi delle forze armate che si realizzerà soltanto in molti anni. Peraltro, nelle ultime bozze del provvedimento non sono nemmeno toccati gli investimenti per l’acquisto di armamenti: un’ipotesi di taglio di 100 milioni l’anno è stata infatti rigettata all’ultimo momento. E sono centinaia i milioni di euro stanziati nei mesi scorsi per missili, blindati, cannoni, sommergibili. (…)
Non resta che ricordare, con Giulio Marcon di Sbilanciamoci!, che con la spesa complessiva prevista per gli F-35 «si sarebbero potute evitare le scelte più rovinose confermate nei giorni scorsi, come il taglio agli enti locali e alla sanità o le misure di revisione del sistema delle tasse universitarie. Ad esempio, evitando di acquistare 10 caccia bombardieri F-35, avremmo potuto salvaguardare i 18.000 posti letto che verranno tagliati negli ospedali nei prossimi mesi». Le parole d’ordine del rigore e dell’austerità valgono per molti ma, a quanto pare, non per tutti. Tra i pochi fortunati, dispensati dal rispondere alla chiamata alle armi del governo, i militari occupano un posto in prima fila. Per loro nessun taglio. Tutt’al più, una messa in piega.
(ampi stralci di un articolo scritto per il manifesto da Riccardo Troisi della Rete Italiana per il Disarmo e Duccio Zola di Sbilanciamoci!)
22 Novembre 2024