Dopo Copenhagen e Cancun tra poco sarà la volta di Durban. Nella città sudafricana dal 28 novembre al 9 dicembre verrà ospitata la 17esima COP – Conferenza delle Nazioni Unite sui Cmbiamenti Climatici. Dopo i risultati negativi dei precedenti appuntamenti la diplomazia internazionale del clima si troverà di fronte a un momento cruciale, stretta tra un pianeta sempre più sofferente, le istanze delle economie emergenti e l’eredità del Protocollo di Kyoto.
A Durban dovrà essere definito come proseguire l’impegno planetario per il clima dal 2013. L‘Ue deve dunque mostrare la sua leadership e dare pieno sostegno alla prosecuzione del Protocollo di Kyoto oltre il 2012. E’ questo l’appello lanciato dagli eurodeputati, in una risoluzione votata in Commissione Ambiente a larga maggioranza (53 voti a favore, 4 contrari e 3 astensioni). Il testo, che passerà al vaglio della plenaria dell’Assemblea di Strasburgo a metà novembre, rilancia per l’UE, un possibile taglio delle emissioni di CO2 superiore al 20% entro il 2020. La risoluzione afferma che l’Ue deve dare un sostegno “pubblico e inequivocabile” sul cosiddetto Kyoto 2, un nuovo accordo vincolante internazionale per i paesi industrializzati, per evitare un gap con quello attuale. I parlamentari europei chiedono inoltre all’Ue di aiutare a trovare un accordo sul Fondo a sostegno dei paesi in via di sviluppo, che dovrebbe raggiungere quota 100 miliardi di dollari l’anno entro il 2020.
Il contributo degli Stati dell’Unione dovrebbe arrivare a 30 miliardi di euro, mantenendo, allo stesso tempo, i finanziamenti per altre politiche interne sul clima. Ma diversi paesi stanno ancora polemizzando sul potere che dovrà avere un Fondo delle Nazioni Unite: da alcuni Stati “ricchi” arriva la proposta secondo cui il settore privato dovrebbe essere la principale fonte finanziaria per il clima. Poi c’è anche lo scenario prospettato dagli Usa. Negli Stati Uniti, nonostante l’attenzione di Obama, vi è un’opposizione bipartisan ad assumere impegni onerosi in mancanza di riduzioni vincolanti per la Cina. E la Cina si prospetta già come una delle protagoniste. Dal 2006 la Repubblica popolare cinese è in testa alla classifica dei paesi per ammontare di emissioni di gas climalteranti, anche se le emissioni pro capite cinesi sono ancora un quarto di quelle statunitensi. Allo stesso tempo, al vertice di Copenhagen la Cina si è impegnata a ridurre le emissioni di gas serra per unità di pil del 40-45% entro il 2020 rispetto al 2005 (il pil cinese è cresciuto del 10,4% nel 2010).
La posizione della Cina, che come abbiamo scritto in precedenza, cerca di aggiudicarsi un ruolo guida tra i Paesi in via di sviluppo, potrebbe creare non pochi problemi al raggiungimento di un accordo finale. Xie Zhenhua, vice direttore della Commissione Statale Sviluppo e Riforme, ha invitato tutte le economie emergenti a presentare piani e azioni volti a tagliare le emissioni di anidride carbonica e spezzare, così, lo stallo in cui vertono i negoziati delle Nazioni Unite. Stando a quanto riporta il Guardian, per Xie Zhenhua il cosiddetto “Kyoto 2” rappresenterebbe una grande opportunità, grazie alla partecipazioni dei Paesi in via di sviluppo. Ma diverse nazioni, inclusi Stati Uniti e Giappone, hanno già rigettato l’ipotesi del “Kyoto 2” poichè non richiederebbe impegni vincolanti alle economie emergenti.
Intanto, alcuni dei più piccoli Paesi emergenti stanno protestando contro quella che giudicano essere “un’intransigenza” da parte di alcune grandi economie: Giappone e Russia, infatti, hanno entrambe scoraggiato la speranza di raggiungere un accordo climatico globale nei prossimi cinque anni. Rumors dannosi in un momento critico per il pianeta. Secondo un rapporto del Dipartimento dell’Energia Statunitense, nel 2010, la produzione di questo gas serra è infatti aumentata del 6%, arrivando ad un livello mai raggiunto prima. Il rapporto del Carbon Dioxide Information Analysis Center (Cdiac) ha stimato per il 2010 l’emissione di più di 33,5 miliardi di tonnellate di CO2, con un aumento del 5,9% rispetto al 2009 e del 4,5% rispetto al record del 2008. Le colpe principali dell’aumento sono di Usa e Cina, che da soli coprono metà della CO2 aggiuntiva emessa, mentre dal punto di vista delle fonti di energia è il carbone ad aver dato il maggior contributo, con una crescita delle emissioni dell’8%. Il livello complessivo raggiunto lo scorso anno, sottolineano gli esperti, è più alto di quello usato dall’Ipcc per descrivere lo scenario peggiore dal punto di vista dei cambiamenti climatici.
Greenews
23 Dicembre 2024