Il sindaco di Salerno dà il 40 per cento dei servizi al mercato. I comitati referendari temono la stessa cosa a Civitavecchia, mentre Genova e la Puglia non tolgono la remunerazione.
I comitati per l’acqua pubblica annunciano il loro ritorno in piazza. Il motivo è semplice: alcune amministrazioni starebbero disattendendo il referendum di giugno con il quale gli italiani si sono espressi a larga maggioranza contro la privatizzazione. Partiamo da Salerno, città campana spesso indicata come oasi felice virtuosa, governata da Vincenzo De Luca (Pd), sindaco “sceriffo” al suo quarto mandato. Già nel lontano 1998, quando per la prima volta guida Salerno, uno dei suoi primi atti è trasformare formalmente l’allora municipalizzata in società per azioni. Oggi il passo successivo che conclude l’operazione che forse aveva in mente fin dall’inizio: la Salerno Sistemi che gestisce il servizio idrico viene ceduta dal Comune di Salerno alla Salerno Energia Spa, holding con partecipazione privata al 40 per cento. Nasce così la multiutility salernitana che gestirà tutti i sevizi essenziali come luce, acqua e gas. La Salerno Sistemi vale almeno 520mila euro, in un Comune che per fare cassa ha appena varato una seconda asta per vendere parte del proprio patrimonio: immobili per 4,5 milioni di euro. Sul piede di guerra il Comitato nazionale referendario.
«L’atto unilaterale del Comune di Salerno è assolutamente grave», attacca Roberto Valestra, del comitato nazionale. Almeno per due motivi: «Il 12 e il 13 giugno quasi il 66 per cento dei cittadini salernitani ha detto no alla gestione privata del servizio idrico», cui si aggiunge quanto deciso dal governo con la Finanziaria che per servizi «quali l’energia, prevede la messa a gara o la costituzione di società miste con privato al 40 per cento andando quindi verso la privatizzazione». Sempre ieri è poi scoppiato il caso di Civitavecchia, alle porte di Roma. Numerosi cittadini hanno contattato nei giorni scorsi il Comitato nazionale per denunciare che il Comune, invece di consegnare le reti e gli impianti al gestore del Servizio idrico integrato come previsto legalmente, aveva costituito una nuova società, ponendosi in questo modo fuori dal sistema previsto dalla legge Galli, ripristinata dal referendum, ma anche da quella del Lazio. Situazione complessa anche nell’Ato idrico di Siracusa. La Regione ha commissariato il consiglio di amministrazione del consorzio e il comitato referendario regionale ritiene i decreti di nomina «illegittimi nel merito e molto gravi dal punto di vista politico», perché «avocano i poteri sostitutivi dei Comuni per la consegna delle reti a Sai 8 Spa», nonostante una sentenza del Consiglio di giustizia amministrativa della Sicilia abbia annullato il bando vinto dai privati.
C’è poi il problema dell’applicazione del secondo quesito che impone ai gestori idrici «l’obbligo di una rideterminazione della tariffa con l’esclusione della quota, pari al 7 per cento, relativa alla remunerazione del capitale investito». I comitati hanno denunciato che alla riunione dell’Ato di Genova del 18 ottobre, pur essendo per la prima volta stati invitati, è stata approvata soltanto una generica mozione che «impegna» a «rivedere le tariffe nel 2012», senza specificare che verrà tolto quel corposo 22 per cento che le famiglie genovesi hanno in bolletta. Nessuna decisione, nemmeno sulla ripubblicizzazione. La stessa cosa è avvenuta in Puglia, dove l’assessore regionale alle Opere pubbliche Fabiano Amati ha spiegato senza troppi giri di parole che «non è percorribile ogni richiesta di riduzione della tariffa del servizio idrico integrato, compresa la riduzione del 7 per cento di remunerazione del capitale investito, che è per noi un costo». Nel frattempo, l’Acquedotto Pugliese è ancora una società per azioni.
Tanto che Alberto Lucarelli, ordinario di istituzioni di diritto pubblico all’Università degli studi di Napoli “Federico II”, spera che dalla Puglia, «prima paladina dell’acqua pubblica in Italia, arrivi un ulteriore segnale di sostegno alla volontà degli oltre 27 milioni di italiani che hanno votato per il referendum». Insomma per ora la prima, e forse al momento anche unica, città ad aver dato seguito al referendum è Napoli. Dove la giunta guidata da Luigi De Magistris ha ripubblicizzato il servizio a fine settembre, creando l’Acqua Bene Comune (Abc) che ha tra l’altro tra i suoi obiettivi «il pareggio di bilancio attraverso l’attuazione dei principi di efficacia, trasparenza ed economicità». Peccato che a poca distanza, l’assemblea dell’Ato 3 Sarnese-Vesuviano del 2 agosto, composta da 24 Comuni del napoletano, non solo hanno confermato il gestore Gori Spa ma hanno deliberato un aumento delle tariffe del 20 per cento.
Michele Fiorito
Terra
23 Dicembre 2024