Sono 870 milioni le persone che nel mondo soffrono la fame. Speculazione finanziaria sugli alimenti e aumento dei prezzi dei prodotti sono due facce della stessa medaglia. Andrea Baranes in Il Grande Gioco della Fame 1 spiega i meccanismi delle spietate scommesse sul cibo. Chi è denutrito è disposto a spendere tutto per non morire. Ecco il principio su cui gli speculatori, banche comprese, fondano il loro lavoro
I dati sulla denutrizione nel mondo dicono che l’Africa muore. Secondo lo State of Food Insecurity in the World 2012 2 (SOFI), 870 milioni di persone (1 su 8) hanno sofferto di denutrizione cronica tra il 2010 e il 2012. 852 milioni di essi vivono nei paesi in via di sviluppo, mentre la restante parte risiede nei paesi industrializzati. L’Asia ha il maggior numero di affamati, l’Africa registra la crescita di denutriti più preoccupante. Grazie al miglioramento delle condizioni economiche di molti paesi asiatici, la percentuale di denutriti in Oriente è diminuita del 30% passando da 739 milioni a 563. Si sono registrati progressi anche in America Latina e nei Caraibi, dove il numero di persone che soffrono la fame è sceso dai 65 milioni del 1990-1992 ai 49 del 2010-2012. In Africa la situazione è disperata: il numero di persone denutrite è aumentato di circa 20 milioni di persone negli ultimi 4 anni e si attesta ora sui 239 milioni (1 su 4).
Nord e Sud, le morti per fame fanno la differenza. Nelle nazioni del Nord, mediamente, tra il 10 e il 15% del reddito è speso per acquistare cibo. Per le famiglie più povere nei Paesi del Sud tale percentuale può andare dal 50 al 90%. A questi numeri si sommano altri impatti: milioni di esseri umani hanno dovuto rinunciare a frutta, verdure, latticini e carne per assicurarsi almeno il consumo di cereali e riso. Lo spostamento della dieta su schemi meno variati provoca problemi enormi in modo particolare per le donne e i bambini (sono più di 100 milioni quelli sotto i cinque anni gravemente denutriti e la malnutrizione è la principale causa di morte per 2,5 milioni di bambini ogni anno).
Chi gestisce il monopolio sul cibo. Il libero mercato e le privatizzazioni nel Nord del mondo hanno fatto sì che, dall’antica logica della domanda e dell’offerta di prodotti, si sia arrivati in circa trent’anni di Neoliberismo a una guerra spietata tra pochi: oligarchi, al peggio monopolisti dell’industria alimentare, hanno saputo speculare sui paesi del terzo mondo. Le prime 30 catene di commercio al dettaglio gestiscono 1/3 delle vendite mondiali di beni di largo consumo (commodity); il mercato delle sementi, cioè i semi necessari per la coltivazione di generi alimentai, è occupato per 82% da prodotti soggetti a brevetti e il 70% di questi ultimi è venduto da 10 imprese, tra cui Monsanto (Usa) e DuPont (Usa). Queste due, da sole, occupano il 40% dell’intero mercato di semi. La Pepsi (Usa), la Nestlè (Svizzera), l’Unilever (Inghilterra-Olanda) e altre 7 imprese controllano il 26% del mercato dei prodotti alimentari confezionati. Sei multinazionali hanno in mano tre quarti del mercato mondiale dei pesticidi. Ancora: le imprese che controllano il 90% del commercio mondiale di cereali sono Cargill inc (Usa); Bunge Ltd. (Bermuda); Archer Daniels Midland (Usa): Louis Dreyfus (Francia); Marubeni (Giappone).
L’assenza di regole e scollamento dall’economia reale. In tutto questo mare di pochi privati imprenditori pescecani del cibo, i pubblici poteri di qualsiasi paese non possono far altro che mettersi da parte. I paesi industrializzati vivono con passività (e spesso connivenza) lo smantellamento dello Stato Sociale, la distruzione del welfare, perché il libero mercato determina il prezzo e quindi il valore di ogni bene e ogni intromissione del pubblico falserebbe questi meccanismi. “La finanza si muove nei paesi più poveri, più disorganizzati, e con meno leggi e quindi i rischi che corre sono bassissimi, mentre il successo speculativo è assicurato – spiega Andrea Baranes di Fondazione Banca Etica 3 e autore del libro Il Grande Gioco della Fame 4- Questo è reso possibile dal fatto che i capitali sono liberi di muoversi, a discapito dei più poveri: i prezzi fissati su scala internazionale sono quelli a cui si riferisce l’intero mercato mondiale e le regole dell’economia e del mercato sono inefficaci e obsolete. Il problema è concordare nuove norme, quanto meno al livello europeo, e poi al livello mondiale”. Questo significa che i giochi della speculazione sul cibo sono del tutto scollegati dall’economia reale, anzi vivono sulle spalle di essa e spesso la distruggono con diversi mezzi.
La scusa più semplice per speculare sul cibo. Chi soffre la fame è disposto a spendere tutto quello che ha per non morire. È questo il principio su cui gli speculatori di borsa fondano il loro lavoro. Il settore industriale del cibo è definito “volatile”, per le variabili atmosferiche, tra siccità, alluvioni, cicloni, inondazioni cui è sottoposto, ma anche per fattori più prevedibili, come il surriscaldamento globale, l’inquinamento, il dissesto idrogeologico, il consumo di terre per creare centri urbani o industrie, lo sfruttamento intensivo di poche terre (che causa la diminuzione della resa dei prodotti).
Cambia la dieta negli ex paesi poveri. Tutto ciò, è reso ancor più problematico per il fatto che, negli ultimi anni, alcuni paesi considerati del cosiddetto “terzo mondo”, si sono evoluti economicamente. Il Giappone, la Cina e l’India soprattutto crescono in continuazione e con loro si trasforma il modo di mangiare e questo contribuisce al cambiamento della dieta alimentare mondiale, che prevede una crescita del consumo di carne. Tale processo richiede una maggiore nutrizione del bestiame commestibile e un aumento di produzione dei biocarburanti, i quali servono a far muovere il cibo e necessitano di grosse quantità di materie prime, come il mais (negli Usa 1/3 della produzione di mais è destinata alla creazione di bioetanolo, per esempio). Non solo, dunque, 7 miliardi di esseri umani devono mangiare cibo commestibile, ma ci sono anche automobili, navi, aerei, apparecchiature industriali da far camminare. Una pacchia per la speculazione.
Le banche che si occupano di derivati sul cibo. Le banche esistono da sempre per conservare i risparmi dei clienti. Ma dagli anni ’90 alcune di esse hanno scoperto che speculare sul cibo, attraverso lo scudo dell’aleatorietà di tali prodotti, può far crescere i guadagni delle stesse. Oggi, esistono banche che hanno un ruolo centrale nell’andamento della distribuzione del cibo nel pianeta e spesso arrivano al punto di negoziare, attraverso hedge fund, derivati e future, contro gli interessi dei loro stessi clienti. Alcune tra le più attive nel settore dei derivati sono: Goldman Sachs (Usa), Bank of America, Citybank (Usa), Deutsche Bank (Germania), HSBC (Regno Unito), Mongan Stanley (Usa) e JP Morgan (Usa).
Prezzi alti e perdita della Sovranità Alimentare. L’aumento dei prezzi del cibo porta all’impoverimento, soprattutto dei contadini africani. La maggior parte dei piccoli agricoltori, riesce a produrre unicamente poche materie prime per il suo sostentamento e quello della sua famiglia. Questo per le dimensioni dell’appezzamento o le caratteristiche del terreno. I contadini devono allora acquistare tutti gli altri prodotti. Gli agricoltori del sud del mondo si ritrovano, così, a dover competere con le grandi multinazionali dell’agroindustria, in una lotta impari. È così che, chi coltiva la terra, perde ogni regola di Sovranità Alimentare, cioè la summa di principi secondo i quali è imprescindibile riconoscere la priorità a economie e mercati locali e nazionali; promuovere un commercio trasparente; assicurare che i diritti d’uso e gestione di terre, territori, acque, semi, mandrie e biodiversità siano nelle mani di coloro che producono il cibo. Molti sono i principi che determinano la Sovranità Alimentare, ma pochissimi riescono ad averla davvero, in questa carneficina legalizzata che è la speculazione finanziaria sul cibo.
22 Novembre 2024