La Cop17 sul clima si è concluso con un’intesa in extremis, che però non prevede nuovi impegni vincolanti per il post-Kyoto, ma solo la promessa di varare un nuovo protocollo entro il 2015. Carenti, secondo le principali associazioni ambientaliste, le misure previste per il fondo climatico per i Paesi poveri
Alla fine, l’accordo c’è stato. Il vertice Onu sul clima (Cop17) di Durban si è concluso con un’intesa insperata ottenuta in extremis dopo febbrili trattative tra i delegati intervenuti alla Conferenza. Per la maggior parte delle associazioni ambientaliste, però, c’è poco da gioire. L’accordo sottoscritto in Sudafrica, infatti, non prevede ancora dei nuovi obblighi di riduzione delle emissioni per il periodo successivo alla scadenza del Protocollo di Kyoto, fissata per il 2012. Gli Stati, infatti, si sono soltanto impegnati ad elaborare entro il 2015 un nuovo accordo vincolante, che dovrà entrare in vigore nel 2020, possibilmente impegnando il maggior numero di Paesi, a cominciare dai principali inquinatori. Fino ad allora, anzi, fino al 2017, saranno prorogati gli impegni di Kyoto, ma solo per chi vorrà ratificarli (al momento hanno aderito solo Unione Europea, Svizzera, Norvegia, Australia e Nuova Zelanda).
Per Mariagrazia Midulla, responsabile “Clima” del Wwf Italia, si tratta di un’intesa troppo debole, che farà perdere altro tempo nella lotta agli effetti del cambiamento climatico. «I Governi hanno fatto il minimo indispensabile per portare avanti i negoziati, ma il loro compito è proteggere la loro gente, e in questo, qui a Durban, hanno fallito – dichiara – La scienza ci dice che dobbiamo agire subito, perché gli eventi meteorologici estremi, la siccità e le ondate di caldo causate dal cambiamento climatico peggioreranno, ma oggi è chiaro che i mandati di pochi leader politici hanno avuto un peso maggiore delle preoccupazioni di milioni di persone». Critiche ancora più aspre sono giunte da Greenpeace International, che ha bollato il vertice di Durban come un fallimento. L’associazione, in particolare, ritiene che i Governi riuniti alla COP17 abbiano scelto «di ascoltare gli inquinatori piuttosto che la gente, non riuscendo a rafforzare le precedenti misure per salvare il clima ed evitando nuove normative specifiche».
Più mite il giudizio di Legambiente, sollevata dal fatto che, almeno, a Durban si è riusciti ad evitare il fallimento completo. Tuttavia, sottolinea l’associazione, la Cop17 non ha individuato il modo per colmare il divario tra gli attuali impegni di riduzione delle emissioni e quelli necessari per contenere l’aumento di temperatura entro i 2 gradi centigradi, soglia indicata dai climatologi per limitare i danni del global warming. «L’Europa da subito si deve fare promotrice, con il sostegno dell’Italia, di un piano per colmare questo gap e aggiornare al 30% il proprio impegno di riduzione delle emissioni di gas-serra al 2020 – commenta il presidente di Legambiente, Vittorio Cogliati Dezza – Per l’Europa si tratta di un impegno che non richiede grandi sforzi aggiuntivi e in linea con le politiche climatiche ed energetiche adottate a livello comunitario. L’Unione europea, infatti, è già a un passo dal raggiungimento dell’obiettivo del 20% al 2020».
Tutti, comunque, sono d’accordo su una cosa. I delegati non hanno raggiunto un accordo adeguato in materia di Green Climate Fund, il fondo che dovrebbe servire ad aiutare i Paesi poveri nella riduzione delle emissioni e nell’adattamento ai cambiamenti climatici. A Durban, infatti, sono state soltanto definite la struttura e le modalità di gestione di questo “salvadanaio”, ma non è stata data alcuna certezza sui finanziamenti promessi in occasione della conferenza di Copenaghen e confermati l’anno scorso a Cancun. I Governi non hanno individuato la roadmap necessaria per incrementare gli attuali 10 miliardi di dollari annui del fondo ai 100 miliardi previsti per il 2020.
23 Dicembre 2024