Una procedura di indagine è aperta sulla permanenza dell’onere nucleare nelle bollette italiane.
Tutti i mesi paghiamo anche questo, e i costi di smantellamento delle centrali e di smaltimento delle scorie – secondo l’Europa – dovrebbero invece essere a carico dei privati. E per una volta le lentezze italiane fanno a gara con quelle europee: da otto anni la procedura d’infrazione risulta aperta, Bruxelles non procede oltra la fase iniziale e l’Italia, naturalmente, non si adegua.
Quanto continua a costare il nucleare in Italia? A causa del sovrapprezzo in bolletta per «onere nucleare» che nel 2003 la Commissione Europea ha aperto una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia. Procedura d’infrazione che rimane aperta a tutt’oggi, a distanza di otto anni.
Uno dei motivi alla base dell’infrazione (n. 2003/2246) è che «i plus pagati in bolletta dagli utenti per finanziare gli oneri dell’uscita dal nucleare […] gravano su tutta l’energia elettrica» e sono considerati dall’UE decisamente troppo generosi. Questi rimborsi vengono dati dallo Stato italiano alle aziende che hanno dovuto interrompere la produzione di energia nucleare in seguito al referendum del 1987. La Commissione Europea, però, «non mette in discussione il rimborso per le centrali la cui costruzione è stata bloccata dal referendum, come quella di Montalto di Castro, prima della loro entrata in funzione».
Come scrive il portavoce del Contratto mondiale per l’energia e il clima Mario Agostinelli, l’uscita dal nucleare ci costa già 4,3 miliardi di euro per il trattamento delle scorie, per non parlare dello smantellamento delle centrali. Per l’Inghilterra, ad esempio – scrive sempre Agostinelli – la cifra stimata per lo smantellamento viaggia attorno agli 80 miliardi di euro.
A questo proposito la Commissione Europea sottolinea che «la costruzione e lo smantellamento finale delle centrali nucleari fanno parte dei costi fissi che sono coperti durante il ciclo di vita dell’impianto dai rispettivi produttori» e che «una quota di risorse finanziarie avrebbe dovuto essere messa da parte dagli operatori durante il ciclo produttivo degli impianti». Inoltre «una parte dei costi inerenti alla gestione dei rifiuti avrebbe dovuto essere sostenuta dagli operatori nucleari prima della chiusura definitiva degli impianti».
Insomma, in tempi di crisi economica, in cui le bollette gravano già enormemente sul bilancio delle famiglie e delle persone, i cittadini italiani si trovano a dover pagare di tasca propria i costi dall’uscita dal nucleare a causa delle inadempienze dei privati.
La procedura d’infrazione è ancora ad una fase iniziale, quella di messa in mora complementare (art. 258 TFUE), ma se l’Italia non dovesse mettersi in regola – ed è molto probabile, visto che non lo ha fatto negli ultimi otto anni – si passerebbe alla fase dei ricorsi e con quelli verrebbero le spese processuali. Arrivare a parlare di sanzioni pecuniarie forse è esagerato, visto che solitamente le procedure si chiudono prima di arrivare a quella fase, ma ogni infrazione aperta è pur sempre una sanzione in potenza.
di Sara Ligutti
16 Novembre 2024