Secondo un gruppo di ricercatori di quattro università, molte marche hanno concentrazioni di berillio, manganese, alluminio, boro, arsenico e perfino uranio che sarebbero proibite dai parametri internazionali. Sotto accusa la norma del nostro Paese, che è meno restrittiva e ha limiti diversi per l’acqua del rubinetto e quella in bottiglia
Nelle nostre acque minerali si trovano elementi chimici potenzialmente tossici come berillio, manganese, alluminio, boro, arsenico e perfino uranio. Spesso in quantità che sarebbero proibite dai parametri internazionali, ma che invece sono perfettamente in regola secondo le leggi italiane. Lo ha scoperto un gruppo di ricercatori italiani (Benedetto de Vivo, Annamaria Lima, Stefano Albanese, Lucia Giaccio dell’Università Federico II di Napoli, Domenico Cicchella dell’Università degli Studi del Sannio di Benevento, Enrico Dinelli dell’Università di Bologna, Paolo Valera dell’Università di Cagliari) che fra il 2008 e il 2010 hanno partecipato a un progetto dell’Unione Europea che mirava a conoscere lo stato delle acque sotterranee di tutta Europa.
I ricercatori hanno lavorato in collaborazione con scienziati dell’EuroGeoSurveys Geochemistry Export Group e hanno raccolto 186 campioni provenienti da altrettante bottiglie di 158 marche di acque minerali italiane fra le più diffuse, analizzandone il contenuto in termini di sostanze chimiche ritenute nocive. Le ricerche del gruppo italiano sono confluite nel grande Atlante Europeo delle Acque Minerali (Geochemistry of European Bottled Water) presentato appunto dell’EuroGeoSurveys, che ha tracciato i profili chimici delle acque minerali di 38 diversi paesi europei.
Ed è proprio da questi risultati che cominciano le perplessità. Per quanto riguarda le sostanze chimiche riscontrate e ritenute dannose, si tratta di elementi che, naturalmente, sono nocivi alle dosi ‘sbagliate’. Dosi che sono stabilite dalle leggi, ma non sempre. “Quello dei limiti di legge sulle concentrazioni è uno dei primi problemi in cui ci si imbatte”, spiega Paolo Valera. “In Italia non solo abbiamo limiti di legge molto più ‘tolleranti’ rispetto ai valori guida internazionali, ma in certi casi non sono stati nemmeno stabiliti limiti massimi alla concentrazione di alcune sostanze. Anche quando si tratta di elementi più che sospetti come berillio, fosforo, molibdeno, tallio e uranio. Una delle spiegazioni potrebbe essere che gli effetti tossici a determinate concentrazioni di queste sostanze sull’uomo sono ancora oggetto di studio. Ma è incomprensibile, ad esempio, che non sia stata fissata una regola per l’uranio, che sappiamo chiaramente essere un elemento dannoso”.
Sotto accusa è dunque la norma sulle acque minerali, anche semplicemente quando si vanno a confrontare i limiti massimi di concentrazione chimica che essa stabilisce con quelli fissati dal decreto legislativo 31/2001 (sulle acque destinate al consumo umano), che a volte sono molto diversi. ”Non ha nessun senso logico che questi limiti siano diversi – continua Valera – non ce n’è motivo. Esistono dei limiti, quello è comprensibile, che sono a volte diversi fra Italia, Europa, Stati Uniti e valori guida dell’Oms. Per l’Italia, i diversi limiti imposti per acqua del rubinetto e acque minerali andrebbero uniformati. Ma finora c’è stato un “difetto” nella scrittura di questi strumenti legislativi che ha portato a qualche problema. In ogni caso, io farei riferimento al limite dell’acqua del rubinetto”.
Alcune fra le nostre acque minerali più popolari, escono da questa indagine con più di un dubbio a loro carico. Vengono così registrate concentrazioni di arsenico superiore a 5 microgrammi/litro che, sebbene sia nei limiti di legge italiani e internazionali, è comunque secondo gli esperti una quantità da tenere sotto controllo. In alcuni casi la concentrazione di boro è risultata di 551 microgrammi/litro: in termini di legge, il valore guida dell’Oms fissa una concentrazione massima di 500 microgrammi/litro. E in Italia, manco a dirlo, siamo molto più tolleranti: 1000 microgrammi/litro per l’acqua del rubinetto e, addirittura, 5000 microgrammi/litro per le acque minerali.
Una delle acque più celebri, come l’Acqua di Nepi, ha fatto registrare diverse insolite concentrazioni. Le sostanze che hanno fatto scattare la soglia di attenzione sono arsenico, alluminio, berillio e fluoro. C’è da dire, tuttavia, che l’acqua minerale in questione era perfettamente nei limiti della legge italiana: l’alluminio e berillio non sono infatti regolamentati dalla legge italiana e il campione è risultato entro i valori massimi per quanto riguarda il berillio e il fluoro. Stando ai parametri internazionali, tuttavia, le concentrazioni di fluoro, berillio e alluminio superavano i limiti, mentre quella dell’arsenico era entro il tetto massimo, ma in quantità da dover essere tenuta sotto controllo.
Andando oggi sul sito dell’Acqua di Nepi, si scopre che nuove analisi qualitative dell’acqua sono state effettuate alla fine di ottobre 2010. E scorrendo i (nuovi) valori relativi alle concentrazioni di quegli elementi incriminati ci si imbatte in alcune sorprese. L’alluminio è passato infatti da 237 a meno di 3 microgrammi al litro, riducendosi quindi di circa 100 volte, rispetto alle rilevazioni europee del 2010. L’arsenico inoltre, che era stato ritrovato in una concentrazione di quasi 6 microgrammi per litro, ora risulta contenuto in meno di 1 microgrammo per litro. Il fluoro è sceso sotto il valore guida dell’OMS, passando da 1,64 a 1,2 milligrammi/litro. In sostanza, questi valori, che prima erano comunque in regola con la normativa italiana, adesso sono in regola anche secondo i valori guida internazionali.
Come si spiegano queste notevoli discrepanze? Abbiamo interpellato i rappresentanti dell’Acqua di Nepi per chiedere un commento in proposito e siamo in attesa di una loro risposta. Nel frattempo, secondo Paolo Valera, “ci potrebbero essere varie spiegazioni. I nostri prelievi sono stati compiuti fra febbraio 2008 e marzo 2009: l’ambiente naturale è un ambiente perennemente dinamico, in movimento, e quindi potrebbero esserci state variazioni all’interno della falda, fra il 2009 e il 2010. Oppure, i produttori delle acque minerali citate nel rapporto potrebbero aver preso visione dei risultati e potrebbero aver montato dei depuratori. Non mi stupirebbe che abbiano preso subito i dati e che abbiano provveduto a sistemare le cose”.
I metodi utilizzati dai ricercatori italiani, comunque, non sono in discussione. “Abbiamo usato standard internazionali e siamo comunque molto sicuri delle nostre analisi – aggiunge Valera – per di più, noi facevamo parte di un progetto a livello europeo, che si è appoggiato a un unico laboratorio, come quello del Servizio Geologico Tedesco, che lavora ad altissimi livelli. E’ veramente molto poco probabile che ci siano stati errori da parte nostra”.
Stefano Pisani – Fatto Quotidiano
22 Novembre 2024