Venerdì 3 dicembre, ore 11.30, resort del Moon Palace a Cancun, a pochi chilometri dal Mar dei Caraibi. Dopo giorni di pioggia oggi il sole, quasi estivo, ha voluto farsi vedere dalle parti della Conferenza Onu, quasi una provocazione per chi come i membri della delegazioni boliviana, hanno scelto il cuore del negoziato sul clima per far sentire forte la loro protesta.
In un’affollatissima conferenza stampa i Governi dell’Alternativa bolivariana (Bolivia, Ecuador, Nicaragua, Venezuela) hanno scelto di non aspettare la fine dei negoziati per alzare la voce. “Non esiste alcun diritto concesso a pochi Paesi di prendesi il lusso di giocare con il pianeta” ha sentenziato Claudia Salerno, capo negoziatrice della delegazione venezuelana, seduta a fianco dell’Ambasciatore della Bolivia Pablo Solon.
Una posizione politica, non certo votata alla tutela dell’ambiente aveva sussurrato nei giorni scorsi la segretaria dell’Unfccc Christiana Figueres parlando delle proposte dei Paesi dell’Alternativa bolivariana. Alla domanda provocatoria di un giornalista in sala, Pablo Solon ha risposto con il classico aplomb di chi ha dalla sua i testi della Convenzione, “abbiamo una posizione giuridica e legale, quello che chiadiamo è che si rispetti l’articolo 3.9 del Protocollo di Kyoto” perchè secondo le parole di Claudia Salerno “le leggi non si discutono, si rispettano, e nessuno li ha obbligati ad aderire al Protocollo di Kyoto”.
Il centro dello scontro è tutto lì. Aldilà del finanziamento per il clima, del negoziato Redd sulle foreste, dell’adattamento al cambiamento climatico c’è un aspetto che continua ad essere eluso: gli impegni vincolanti che i Paesi industrializzati devono rispettare per essere fedeli un Protocollo che essi stessi hanno voluto e firmato (tranne gli Stati Uniti).
Di questo si sta parlando. E collegato a questo il nuovo periodo di impegni post-Kyoto che come sappiamo è in scadenza nel 2012.
C’è chi ha chiarito che è poco interessato all’argomento, come il Giappone. C’è chi non ne parla apertamente, ma crea le condizioni perchè tutto si impantani, come diversi Paesi industrializzati che fanno pressioni sugli altri Paesi membri perchè si riceva l’irricevibile. E cioè un eventuale altro Protocollo che superi Kyoto, magari basato su impegni volontari e non vincolanti, posto come conditio sine qua non per concordare sugli impegni post 2012.
“E’ come se come condizione per il mio matrimonio chiedessi di poter avere una seconda moglie” ha ironizzato Solon, cercando di stemperare la tensione del momento.
“Se questa è la situazione non siamo disposti a continuare” ha fatto eco la rappresentante venezuelana, perchè “no hay dinero en el planeta que compren lo payses de l’Alba”.
Che chiedono con forza che entro domattina, nei documenti negoziali che i presidenti dei gruppi di lavoro stanno preparando, ci sia un impegno chiaro e trasparente sul periodo post-kyoto e sugli impegni di taglio delle emissioni. Perchè le popolazioni latinoamericane stanno già subendo gli effetti del cambiamento climatico, sottoforma di siccità o di inondazioni.
“Abbiamo avuto la flessibilità politica sufficiente per prendere nota di un accordo illegittimo a Copenhagen, senza rotture”, conclude Claudia Salerno, “ma non siamo disposti a continuare così. Stanno prendendo la nostra disponibilità per stupidità, ma i Paesi dell’Alba non sono stupidi”.
Il livello del conflitto si alza. E dietro i Paesi dell’Alba sembra stiano convergendo il G77, i Paesi africani ed altri Paesi in via di sviluppo. La strategia dei Paesi industrializzati, o almeno di buona parte di questi, è chiara. Altrettanto chiara è quella di buona parte dei Paesi in via di sviluppo.
I pezzi sono oramai sulla scacchiera. L’Alba ha spostato il cavallo, è venuto il momento che altri, in modo trasparente, facciano il loro gioco.
Alberto zoratti
23 Novembre 2024