L’associazione è nata a Capannori dove si differenzia l’82 per cento
Più di cento comuni (107), e un unico obiettivo: liberarsi dei rifiuti entro il 2020. Per cercare insieme una strategia per gestire le tonnellate di cose che, ogni giorno, vengono buttate perché non servono più. Ieri mattina, nell’auditorium di Capannori è nata l’associazione nazionale delle comunità verso Rifiuti Zero. Capannori, 46mila abitanti nel Lucchese, è stato il primo comune che, nel 2007, ha aderito alla strategia internazionale Rifiuti Zero. Oggi a Capannori la media della raccolta differenziata è all’82%, con punte di 90% nelle zone dove si applica la Tia puntuale: ogni famiglia paga per quanta indifferenziata produce.
Ora in molti credono che occorra ridurre la produzione di rifiuti all’origine. Le parole chiave, per i rappresentanti dei comuni che ieri si sono dati appuntamento e che rappresentano 3 milioni di italiani, sono differenziazione, riuso e riciclo. Le prime esperienze hanno dato buoni risultati. Per questo la Rete Italiana Rifiuti Zero, coordinata da Rossano Ercolini, e gli enti locali hanno creato un’associazione. I comuni hanno già un decalogo a cui attenersi.
Il primo passo è scommettere sulla differenziata, coinvolgendo e responsabilizzando i cittadini. In ambito casalingo, i comportamenti virtuosi sono noti: usare pannolini lavabili, dire addio alle buste di plastica, preferire l’acqua del rubinetto (che oltretutto è più sana), acquistare latte, bevande e detergenti «alla spina».
Ovviamente, i virtuosi vanno poi premiati, con un sistema di tariffazione ad hoc. Altro trucco per raggiungere in poco tempo e su larga scala quote superiori al 70% è quello della raccolta porta a porta, con quattro contenitori diversi da ritirare seguendo un calendario settimanale prestabilito. Tutto questo sforzo sarebbe però inutile senza la realizzazione di un impianto di compostaggio – da collocare in aree rurali e quindi vicine ai luoghi di utilizzo da parte degli agricoltori – e di piattaforme impiantistiche per il riciclaggio e il recupero dei materiali.
Nell’ottica che niente vada sprecato, sono indispensabili anche centri per la riparazione di beni durevoli, come mobili, infissi ed elettrodomestici, da rimettere a nuovo e rivendere sul mercato: un sistema che garantisce anche ricadute positive sull’occupazione, come è già avvenuto in Australia e in Nord America. A valle della filiera, infine, servono un impianto di recupero e selezione di quei rifiuti sfuggiti alla differenziata e un centro di ricerca e riprogettazione per ripensare, su scala industriale, una nuova vita per gli oggetti non riciclabili.
Maria Vittoria Giannotti – La Stampa, Domenica 14 Ottobre
3 Dicembre 2024