Alcuni importanti economisti sostengono che lo status di New York, quale gigante finanziario e culturale del mondo occidentale, potrebbe spronare altre città non solo statunitensi ad impegnarsi allo stesso modo. E in Italia?
Secondo diversi importanti economisti la decisione di New York di disinvestire nei combustibili fossili contro il cambiamento climatico potrebbe rivelarsi uno stimolo anche per altre città americane che non condividono il fermo sostegno dell’amministrazione Trump a gas, carbone e petrolio.
Mercoledì 10 gennaio i funzionari della Grande Mela hanno annunciato che la città avrebbe ceduto i propri fondi pensionistici legati alle compagnie petrolifere per un ammontare di circa 5 miliardi di dollari, con l’obiettivo di arrivare in 5 anni a disinvestire l’intero fondo pensionistico, pari 187 miliardi di dollari (158 miliardi di euro). “Vogliamo salvaguardare la pensione dei poliziotti, degli insegnanti e dei vigili del fuoco della nostra città – ha spiegato Scott Stringer, delegato al bilancio – ma allo stesso tempo crediamo che il loro futuro finanziario sia legato alla sostenibilità del pianeta. È complesso, ci vorrà del tempo e ci saranno molti passaggi, ma la strada è ormai segnata”.
Inoltre il sindaco Bill De Blasio ha rivelato che la metropoli ha citato in giudizio i colossi del petrolio e del gas Bp, Chevron, ConocoPhillips, ExxonMobil e Royal Dutch Shell, ritenendoli responsabili dei cambiamenti climatici di cui “hanno sempre conosciuto gli effetti e intenzionalmente hanno ingannato i cittadini per proteggere i loro profitti”.
Ebbene alcuni economisti sostengono che lo status di New York, quale gigante finanziario e culturale del mondo occidentale, potrebbe spronare altre città non solo statunitensi ad impegnarsi allo stesso modo. Jeffrey Sachs, economista alla Columbia University di New York e consigliere speciale del segretario generale delle Nazioni Unite, è sicuro che presto “seguiranno i fondi pensione di altre grandi città americane. New York è il ‘quartiere’ dei manager del big money. È un segnale potente rivolto personalmente a loro che non possono continuare a finanziare gli stessi progetti del passato”.
La decisione di New York accresce le fila del movimento “Divest”, che gli attivisti dicono valga sei trilioni di dollari in disinvestimenti o investimenti evitati nelle fonti fossili, e che annovera tra le proprie fila nomi prestigiosi come la Oxford University, il Rockefeller Brothers Fund, la Gates Foundation. Lo scorso novembre la banca centrale norvegese, che gestisce il più grande fondo sovrano del mondo, ha proposto azioni di dumping nei confronti delle compagnie petrolifere e del gas. “Il movimento è attivo e in crescita e, per sua natura, New York svolgerà un ruolo di grande leadership” – aggiung Sachs -“New York ospita Wall Street, l’ONU e i principali media statunitensi, ora sarà anche il centro dell’azione per il clima”.
Non tutti però sono così ottimisti. Come riporta il Guardian, l’economista Paul Ferraro della John Hopkins University, sostiene: “Il disinvestimento è uno strumento di azione collettiva che può isolare politicamente le aziende, ma le grandi compagnie petrolifere e del gas hanno ancora una lunga strada da percorrere e un sacco di soldi da fare. Quando guardi i prezzi delle azioni è difficile credere che la fine dei combustibili fossili sia imminente, come dicono diversi ambientalisti”.
E in Italia? Sarebbe possibile che una città intraprendesse un’azione come quella di New York? Lo abbiamo chiesto a Gianni Silvestrini, direttore del Kyoto Club: “E’ auspicabile che quanto sta accadendo a New York accada anche nel nostro Paese. Non abbiamo tradizioni di investimento di questo tipo, legate ai fondi pensioni. E’ un segnale forte dal punto di vista simbolico ma ha anche una certa ricaduta economica se questi disinvestimenti dalle fossili si verificano in altri fondi ancora più importanti, come sta già avvenendo”. Oltre alla ricadute economiche, Silvestrini ribadisce l’importanza del messaggio che verrebbe lanciato se anche da noi qualcuno seguisse la strada tracciata dalla Grande Mela: “In America sono soprattutto le città che si trovano lungo gli oceani, quelle che hanno più problemi con l’innalzamento del livello delle acque, che potrebbero seguire la strada di New York. Auspico che anche qualche città italiana che sta sul mare, Genova, Palermo o Bari, solo per fare qualche esempio, pensi a qualche atto dimostrativo: un modo per suonare la sveglia” a chi ancora non vede il rischio derivante dai cambiamenti climatici.di Bruno Casula e Giuseppe Iasparra Ecodallecittà
22 Novembre 2024