Con gli attuali incentivi, installare una piccola turbina eolica può rendere bene e l’investimento può rientrare in 6-7 anni. Eppure perché questa tecnologia è ancora poco diffusa da noi? Ne parliamo con Carlo Buonfrate, presidente del Consorzio dei produttori di energia da mini eolico, CPEM.
Installare un impianto di mini eolico può rendere bene: un investimento che si ripaga in 6-7 anni e con una macchina di taglia medio-piccola può rendere oltre 20mila euro l’anno. Eppure questa tecnologia ha diversi ostacoli che la frenano e sembra quasi che soffra di una “sindrome da Cenerentola” nei confronti di rinnovabili più affermate come fotovoltaico e l’eolico di grande taglia. Ne parliamo con Carlo Buonfrate presidente del Consorzio dei produttori di energia da minieolico, CPEM.
Buonfrate, per quale tipo di investitori è più attraente il mini eolico?
Ha una grande attrattività per quel che riguarda il settore dell’agricoltura in primis. Noi stessi come consorzio rappresentiamo anche molte aziende agricole che stanno cimentandosi in questo investimento. Si tratta spesso di un modo per permettere al contadino di rimanere legato alla terra: può integrare il reddito derivante dalle coltivazioni, spesso modesto, evitando che il contadino sia costretto ad abbandonare l’attività agricola. Il minieolico poi può essere interessante anche per agriturismi, piccole imprese manifatturiere che abbiano spazi idonei o semplicemente privati investitori.
Cosa comporta e quanto rende economicamente installare una mini turbina eolica?
Facciamo l’esempio più semplice, di una macchina sotto ai 60 kW, per la quale, dall’epoca della Finanziaria 2008, basta una autorizzazione semplice. Chiaramente serve una zona con valore di ventosità di almeno 1300-1400 ore equivalenti. Ipotizzando una ventosità di 1400-1500 ore equivalenti e una macchina da 50 kW avremo una produzione di circa 80mila kWh/anno, che valorizzati dalla tariffa omnicomprensiva incentivante attuale di 30 centesimi a kWh darebbero un reddito di 24mila euro l’anno. Togliendo mille euro per manutenzione e costi assicurativi, possiamo dire che la macchina potrebbe rendere 22-23mila euro l’anno. Tenendo conto che una macchina di quella potenza ha un costo di140-150mila euro, possiamo concludere che l’investimento rientra in 6-7 anni.
Sembrerebbe un investimento attraente. Come mai allora il minieolico nel nostro paese è ancora così poco diffuso? Quali sono le barriere?
Come fonte pulita in Italia è un po’ trascurata e messa in ombra dalle rinnovabili “maggiori” come il fotovoltaico o il grande eolico, mentre invece nei paesi anglosassoni già da diversi anni il minieolico è molto diffuso. Da noi c’è ancora una scarsa conoscenza e fiducia nella tecnologia: possiamo paragonare il minieolico di adesso al fotovoltaico del 2005, quando questa tecnologia era per molti ancora una sconosciuta. Altro grosso freno è la carenza di reti di bassa e media tensione, soprattutto al Sud che è anche la zona più interessante dal punto di vista della ventosità. Laddove si riesce a mettere un impianto i tempi di allacciamento dell’Enel possono essere molto lunghi e soprattutto posso presentarsi inconvenienti dovuti a sovratensione o buchi di rete che tendono a ridurre la produttività dell’impianto.
Tornando al paragone con il fotovoltaico va detto che, almeno, ai profani il minieolico sembra essere un tecnologia molto più complessa: si tratta di macchine che si muovono, possono rompersi. Altro elemento frenante infatti è la mancanza di standard costruttivi riconosciuti. Non esiste una certificazione delle macchine. E’ un sistema ancora tutto da regolare dal punto di vista della qualità e dell’affidabilità delle macchine.
Quello dell’impatto ambientale e relativa non accettazione è un ostacolo?
Sì, è spesso un problema. Si tende a confondere il minieolico con il grande eolico, che spesso è soggetto ad opposizioni, a volte propriamente, ma più spesso impropriamente. Ma sia per l’aspetto visivo che per quello del rumore il minieolico ha impatti completamente diversi e quasi trascurabili.
Ma a cosa va incontro nella pratica chi decide di installare una turbina: come si deve procedere? Sappiamo che a volte sono necessarie analisi anemometriche preventive che costano diverse migliaia di euro.
Nei primi siti in cui è stato installato si procedeva impropriamente partendo dalle autorizzazioni: si faceva autorizzare un sito per poi scoprire che l’Enel non garantiva l’allacciamento o offriva un allacciamento lontano e molto costoso. Oggi si fa l’opposto: ci si accerta della disponibilità e della convenienza della connessione e solo dopo si richiede l’autorizzazione che, se non ci sono vincoli ambientali o paesaggistici particolari tramite la procedura semplificata, arriva entro 30 giorni.
Cosa mi dice sulla questione dell’accesso al credito? E facile farsi finanziare da un banca una piccola turbina?
Venendo io dal mondo bancario, ricordo bene la ritrosia con cui le banche negli anni dal 2005 al 2007 concedevano finanziamenti al fotovoltaico. Poi, in seguito, lo hanno invece finanziano abbondantemente. Il minieolico come dicevo è ancora fermo al 2005, e a differenza del grande eolico, le banche non lo conoscono bene. Questo atteggiamento dovrà cambiare e si potrà farlo assieme allo sviluppo di regole come quelle cui accennavo prima sulla certificazione delle macchine. Man mano che il settore si darà un ordine e delle regole le banche finiranno per accettare di finanziare anche progetti in cui la valutazione anemometrica non ci sia. Non sempre infatti è necessaria un analisi anemometrica approfondita che duri uno o due anni: si può valutare in maniera induttiva, incrociando dati già esistenti. La bancabilità oggi è un grande problema per il minieolico, ma è un problema superabile. Come CIPEM stiamo lavorando assieme alle banche e alle società che fanno due diligence per creare una certificazione poco costosa e che i nostri associati possano usare per ottenere in modo più semplice i finanziamenti a favore dei loro clienti.
Come è strutturata la filiera del minieolico in Italia? È un settore con una propria industria nazionale o si trovano più che altro operatori stranieri?
Diversamente che in altri settori delle rinnovabili gran parte delle installazioni di minieolico in Italia è fatto con macchine italiane. Anzi, le aziende italiane vendono molto anche all’estero. Abbiamo una filiera italiana molto importante con centinaia di persone impiegate nella produzione sia a nord che a sud. Qui parliamo di macchine che si muovono, delicate, che richiedono molta affidabilità, per cui c’è meno spazio che in altri settori per prodotti low-cost provenienti dall’oriente.
A tal proposito torniamo al discorso della certificazione. Nel fotovoltaico gli impianti devono essere certificati per ricevere l’incentivo. Una soluzione del genere potrebbe fare bene anche al mini eolico? Quali altre richieste politiche state portando avanti come CPEM?
Nel fotovoltaico si è arrivati a rendere la certificazione obbligatoria solo con il quarto energia; per il minieolico, come dicevo, siamo indietro. Stiamo lavorando in questa direzione. Un’altra questione che stiamo sollevando è questa: il reddito di un impianto fotovoltaico in un impresa agricola è considerato reddito agricolo e quindi non è tassato. Non accade la stesso per quello che viene da un impianto minieolico forse perché il minieolico non ha ancora raggiunto numeri tali da far considerare il problema.
QualEnergia.it pubblicherà a fine febbraio una Guida tecnica dedicata alla scelta e alla installazione delle Mini Turbine Eoliche (1-200 kW), utilizzando le esperienze maturate nella pluriennale gestione del campo eolico sperimentale di Trento. La guida è rivolta soprattutto a cittadini e imprese. Vai alla presentazione.
Giulio Meneghello Qualenergia
25 Novembre 2024