Il magistrato ospite a “Che tempo che fa” per presentare il libro “Collusi”
“Sconfiggere la mafia è possibile recidendo i rapporti tra mafia e politica che da oltre centocinquanta anni rappresenta il vero punto di forza della criminalità organizzata e questo non può essere sempre demandato alla magistratura soltanto”. E’ così che il pm palermitano Antonino Di Matteo, ospite alla trasmissione di Fabio Fazio “Che tempo che fa”, traccia una via di lotta contro le mafie, toccando alcuni punti affrontati nell’ultimo libro, scritto con il giornalista Salvo Palazzolo, “Collusi”. “Le strade della mafia e dello Stato – ha aggiunto il magistrato – non si devono mai incontrare se non nel momento della repressione mafiosa, altrimenti, lo insegna la storia, lo Stato si consegna nelle mani della mafia. E questo non è possibile se uno Stato vuole essere credibile ed autorevole”. Nonostante la trasmissione andasse in onda mentre ancora erano aperti i seggi elettorali per le regionali il pm ha affrontato diverse questioni “calde” come ad esempio sulla black list degli “impresentabili” stilata dalla Commissione antimafia. Di Matteo ha speso parole d’elogio per tale azione e ha “bacchettato” i partiti, i quali a suo dire avrebbero dovuto da soli arrivare a capire che certi nomi non andavano presentati in una tornata elettorale. “Ben vengano iniziative come quella della Commissione parlamentare antimafia – ha detto – La prevenzione del rapporto mafia-politica non può dipendere soltanto dalle inchieste penali della magistratura ma di devono operare dei meccanismi in sede poltiica, di responsabilità politica a prescindere dall’attività penale. Anche Paolo Borsellino, nel luglio 1992, lamentava il fatto che la politica giustificava il mancato intervento con l’attesa per le sentenze definitive. E dal 1992 ad oggi la situazione non è cambiata. Basti guardare a quanto avvenuto dopo la sentenza Dell’Utri”.
Proprio del rapporto mafia-politica Di Matteo ha parlato sin dal principio ricordando come i mafiosi abbiano ben presente che le leve del proprio potere sono nei rapporti che riescono a tessere coi rappresentanti delle istituzioni a tutti i livelli. Ma il magistrato è andato anche oltre dicendo che “le istituzioni hanno accettato, e a volte anche cercato, il dialogo con la mafia, in certi frangenti storici, o per questione di interesse politico o, peggio, per una malcelata ed inconfessabile ragione di Stato, con la conseguenza tremenda che si è rafforzato il potere delle mafie dotandole di un’arma di ricatto rispetto alle istituzioni. Inoltre non si sarebbe credibili se si accettasse un contatto tra mafia ed istituzioni per qualsiasi motivo. Come potremmo altrimenti dire all’imprenditore che deve denunciare quando gli viene chiesto il pizzo?”. Il magistrato ha poi ricordato i diversi delitti eccellenti, dalla morte di Piersanti Mattarella fino alle stragi del ’92-’93, in cui vi sono elementi che fanno pensare anche ad una forma di coinvolgimento di uomini politici, esponenti del mondo economico e produttivo, ed anche pezzi deviati dello Stato. Aspetti che secondo Di Matteo “non possono essere lasciati inesplorati proprio per non dare più potere a quelle organizzazioni criminali che userebbero certe informazioni come strumenti di ricatto. Nelle sentenze emergono questi elementi di prova da approfondire e lo Stato deve avere la forza di non considerare questi come capitoli chiusi ma di guardare fino in fondo se oltre a Cosa nostra abbia agito anche qualcun altro, senza lasciare sulle spalle di pochi magistrati ed investigatori quel compito delicato”.
collusi-libro-dimatteoParlando dei pentiti il magistrato palermitano ha affermato di preferire l’espressione più tecnica, ovvero “collaboratori di giustizia” e ha rammentato i successi ottenuti grazie al loro utilizzo, non nascondendo però come essi debbano “essere utilizzati in modo professionale e con grande cautela”.
Ancora una volta, poi, ha anche rimarcato come la lotta alla mafia e la lotta alla corruzione siano una “faccia della stessa medaglia” e, parlando degli strumenti che andrebbero introdotti nel sistema giuridico-investigativo, ha ribadito l’importanza di istituire la figura del cosiddetto “agente provocatore”. “Inoltre – ha detto – si dovrebbe intervenire in materia di prescrizione, facendo partire il calcolo non nel tempo in cui il reato è stato commesso ma quando lo stesso viene scoperto, o quantomeno quando si richiede il rinvio a giudizio”.
Alla domanda su come vive il suo “status” di condannato a morte ed il suo rapporto con la paura il pm ha concluso: “Io no voglio esser ipocrita. Non si può non avere paura quando ascolti il più feroce stragista storia d’Italia (Totò Riina, ndr) che insiste per la tua eliminazione veloce o quando ti spiegano dei pentiti che sei uno dei protagonisti di progetto di attentato, in fase avanzata di esecuzione, aggiungendo che non è solo cosa nostra a volere tua morte. Accanto a questo sentimento però è presente anche un altro che prevale. Intanto la passione per la verità e poi, se mi permettete, anche la dignità e la consapevolezza che il mio ruolo di magistrato ha senso se esercitato senza condizionamenti da parte di nessuno per nessuno motivo”.
di Aaron Pettinari – 1°giugno 2015
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Nino Di Matteo ospite su Rai 3 a “Che tempo che fa”
26 Dicembre 2024