Utilizziamo molte più risorse di quelle che si rigenerano e colmiamo la differenza divorando il patrimonio naturale della Terra. Nel 2030 potremmo aver bisogno di due pianeti. Il Wwf pubblica il Living Planet Report.
Per la prima volta il Living Planet Report 2010 ha incrociato i trend delle specie e dell’impronta ecologica con i redditi dei singoli Paesi, mostrando come i Paesi a più alto reddito hanno un’impronta ecologica pari a circa 5 volte quella dei Paesi a basso reddito, che subiscono invece la maggiore perdita di biodiversità.
Una maggiore impronta ecologica e un alto livello di consumi non corrispondono necessariamente a un più alto livello di sviluppo.
Il Perù, per esempio, ha un’impronta ecologica pro-capite di 1,5 ettari globali, in linea quindi con la capacità del pianeta, e un Indice di sviluppo umano di 0,86 che rientra nei parametri di aspettativa di vita, reddito e livello di educazione stabiliti dall’ONU. L’Indice dello Sviluppo umano può quindi essere alto anche in Paesi con un’impronta ecologica moderata.
Se l’Indice delle specie registra un certo miglioramento nella zona temperata (+ 29%) rispetto al 1970, per i migliori sforzi nella conservazione e nel controllo dell’inquinamento e perché deforestazione e cambiamenti di uso del suolo qui sono avvenuti soprattutto prima del 1950, ai tropici si registra un declino del 60% e fino al 70% per le specie di acqua dolce, il tasso più alto tra tutte le specie terrestri e marine considerate.
Ma nella complessa rete delle connessioni ecologiche la perdita di biodiversità è sintomo e sinonimo del cattivo stato di salute degli ecosistemi e implica un peggioramento dei servizi eco-sistemici che sono alla base della nostra vita e del nostro benessere: la fornitura di cibo, materie prime e medicine, la regolazione del clima, la depurazione di acqua e aria, la rigenerazione del suolo, l’impollinazione delle piante, la protezione da inondazioni e malattie. Basti pensare che circa il 75% delle 100 principali colture a livello mondiale fa affidamento sugli impollinatori naturali, che oltre metà degli attuali composti medici di sintesi provengono da precursori naturali, e che gli ecosistemi terrestri riescono a immagazzinare ben 2.000 miliardi di tonnellate di carbonio, dando un contributo preziosissimo anche alla lotta al cambiamento climatico.
L’impronta ecologica dell’uomo, ovvero la domanda di risorse naturali necessarie per le nostre attività, è in costante aumento e va ben oltre la capacità del pianeta di rigenerare le proprie risorse.
Dal 1966 l’impronta ecologica globale è raddoppiata, l’impronta di carbonio è aumentata addirittura di 11 volte, rappresentando oggi oltre la metà dell’impronta ecologica globale, l’impronta idrica è in costante aumento e considerando l’acqua “virtuale” contenuta nei prodotti commercializzati internazionalmente, ha impatti e ricadute su fiumi e falde acquifere di tutto il mondo (un abitante del Regno Unito, per esempio, consuma 150 litri di acqua al giorno, ma il consumo nel Paese di prodotti esteri porta questo valore fino a 4.645 litri di risorse idriche mondiali al giorno).
Considerando le aree necessarie a fornire le risorse che utilizziamo, la superficie occupata dalle infrastrutture e quella necessaria ad assorbire i rifiuti che produciamo, comprese le emissioni di CO2, basterebbe che ogni abitante del pianeta si “accontentasse” di 1,8 ettari globali per vivere entro i limiti della capacità del pianeta senza compromettere le generazioni future. E invece la stragrande maggioranza dei Paesi, in particolare le nazioni più ricche, superano di gran lunga questa misura arrivando a picchi di oltre 10 ettari globali pro capite.
Complessivamente, i 31 Paesi dell’OCSE, che includono le economie più ricche del mondo, sono responsabili di circa il 40% dell’impronta globale. L’unico tra i Paesi europei a rientrare nei limiti del pianeta è la Repubblica Moldava, mentre a chiudere la classifica con impronte da “cenerentola” sono Bangladesh, Afghanistan e Timor-Est. Considerando che nel 2050 la popolazione globale supererà con ogni probabilità i 9 miliardi, rientrare nei limiti del pianeta e investire nel capitale naturale è una scelta quanto mai urgente.
Fonte: WWF Living Planet http://www.terranuovaedizioni.it/article5081.htm
22 Novembre 2024