Dal 2008 al 2022 sono stati destinati alle fonti pulite 141 mld di euro, contro 57 mld di euro in sovvenzioni per le fonti fossili solo nel 2022
Intervenendo ieri al “question time” della Camera, il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto ha fornito una prospettiva d’insieme sugli incentivi garantiti alle fonti rinnovabili nel nostro Paese negli ultimi tre lustri.
«Dal 2008 al 2022 risultano erogati incentivi alle rinnovabili per oltre 141 miliardi di euro – ha spiegato Pichetto – La progressiva diffusione delle rinnovabili favorirà la diminuzione dei costi delle singole tecnologie, alle quali sono tarate i meccanismi di incentivazione, e di conseguenza una riduzione degli oneri in bolletta nel tempo».
Gli incentivi alle fonti pulite sono infatti in calo da tempo, anche se sono stati un pilastro fondamentale per abbattere i costi delle tecnologie, con indubbi vantaggi per il nostro Paese (l’associazione confindustriale Elettricità futura stima risparmi per 25 mld di euro nel solo 2022 grazie alle rinnovabili).
L’ammontare complessivo degli incentivi resta comunque considerevole. Oggi le fonti rinnovabili rappresentano le tecnologie più economiche per produrre energia – come testimoniano le analisi Irena, Iea, Bce e Bei tra le altre –, perché dunque continuare a incentivarle?
Oltre al diverso grado di maturità tecnologica dei vari impianti rinnovabili incentivati, uno dei principali motivi risiede nel fatto che gli investimenti si muovono su un campo tutt’altro che neutro, ma teso a tenere artificialmente bassi per i consumatori i costi dei combustibili fossili.
Il Fondo monetario internazionale (Fmi) stima infatti che nel 2022 i sussidi alle fonti fossili, in Italia, siano arrivati a 63 mld di dollari, ovvero oltre 57 mld di euro al cambio attuale (con Legambiente che arriva invece a una stima quasi doppia, 94,8 mld di euro).
Anche prima dell’ultima crisi energetica e in piena pandemia (2020) il dato era comunque molto elevato, stimato da Banca mondiale e Fmi in 41 mld di dollari (oltre 37,5 mld di euro).
Togliere questi sussidi significherebbe far impennare il prezzo dei combustibili fossili, un’operazione necessaria alla transizione ecologica ma possibile (e giusta) solo in un contesto di sostenibilità sociale, ovvero tutelando le fasce di popolazione meno abbienti tramite una robusta redistribuzione del gettito e una più marcata progressività fiscale, in modo da far pagare i costi della transizione ai più ricchi (che sono anche i principali emettitori di gas serra).
Anziché portare avanti questa doppia battaglia contro crisi climatica e disuguaglianze socioeconomiche, il Governo Meloni ha invece deciso di legare ancora di più il destino dell’Italia all’import di gas fossile.
Ne è un esempio la priorità che continua ad essere garantita alle infrastrutture di rigassificazione, sbocciata in via emergenziale dopo l’invasione russa dell’Ucraina ma trasformata rapidamente in una politica di lungo periodo.
Nel suo intervento alla Camera, Pichetto ha infatti sottolineato che «i rigassificatori costituiscono opere strategiche per la sicurezza nazionale, fermo restando il programma di decarbonizzazione. I due terminali di rigassificazione di Porto Empedocle e Gioia Tauro, già autorizzati, potranno garantire una capacità aggiuntiva pari a 20 miliardi di standard metri cubi annui, con la possibilità di traguardare al 2030 una capacità complessiva di circa 48 miliardi».
C’è n’è bisogno? Già l’autunno scorso l’Italia vantava una capacità complessiva d’approvvigionamento gas pari a 83 mld di mc l’anno, a fronte di consumi pari a 68,5 mld di mc nel 2022, scesi ancora a 61,5 mld mc (-10%) nel 2023.
In tutta Europa i consumi di gas sono al minimo da 10 anni – a causa di un mix di fattori dovuto a clima mite, crescita delle rinnovabili, difficoltà delle industrie energivore – e anche per il Gnl il picco dei consumi viene previsto al 2025.
Già oggi l’Italia è il principale Stato europeo a dipendere dal gas fossile, affidando la propria sicurezza energetica a Paesi come Algeria e Azerbaigian. Al contempo, la transizione ecologica stenta ancora a decollare a causa di colli di bottiglia autorizzativi, sindromi Nimby e Nimto: nel corso del 2023 sono entrati in esercizio +5,7 GW di impianti rinnovabili, neanche la metà di quelli che servirebbero annualmente per traguardare gli obiettivi di decarbonizzazione al 2030. GreenReport