Alla Cop 24 di Katowice sono state approvate le regole che dovrebbero rendere operativo l’Accordo di Parigi. Ma che non convincono le ong ecologiste.
Sono state necessarie 24 ore in più del previsto per consentire ai 196 governi che hanno partecipato alla Cop 24 di Katowice di trovare un’intesa e non far fallire i negoziati. Le regole che il mondo si è dato per rendere operativo l’Accordo di Parigi, però, non sembrano particolarmente ambiziose. E lasciano dubitare che possano consentire di centrare il principale obiettivo dell’intesa raggiunta nel 2015 nella capitale francese, ovvero limitare la crescita della temperatura media globale, entro la fine del secolo, ad un massimo di 2 gradi centigradi, rispetto ai livelli pre-industriali. E rimanendo il più possibile vicini agli 1,5 gradi. Ma di passi in avanti ne sono stati fatti pochi. E il nodo delle promesse di riduzione delle emissioni di CO2 – i cosiddetti Indc – non è ancora stato risolto.
Il presidente della Cop 24: “Accordo positivo per il pianeta”
Attorno alle 22:20 di sabato, il presidente della Conferenza – il vice-ministro polacco dell’Ambiente, Michal Kurtyka, ha dichiarato chiusi i negoziati. «È stato – ha affermato – un cammino lungo. L’impatto del pacchetto di misure che abbiamo deciso è positivo per il pianeta. Ci avvicina a concretizzare le ambizioni dell’Accordo di Parigi». Ma il compromesso raggiunto a Katowice, secondo le organizzazioni non governative, non è sufficiente. E riflette le divisioni emerse tra i governi.
Le prime avvisaglie di una conferenza particolarmente difficile, d’altra parte, erano arrivate già nei primi giorni di trattative. Nel corso dei quali, normalmente, sono soltanto i tecnici a confrontarsi. Ma gli ostacoli sono apparsi talmente complessi da aver richiesto già dopo due giorni di lavori l’intervento dei rappresentanti politici.
Le difficoltà sono state evidenti, poi, quando è stata pubblicata la prima bozza di conclusioni finali, sabato 8 dicembre. Colma di questioni ancora da dirimere. In particolare, quattro nazioni – Stati Uniti, Arabia Saudita, Russia e Kuwait – hanno insistito per non inserire parole che lasciassero intendere un sostegno alle conclusioni dell’ultimo rapporto dell’Ipcc sul clima. Secondo il quale, di questo passo, il mondo potrebbe raggiungere i +1,5 gradi centigradi già nel 2030.
“Il testo omette elementi essenziali per rendere la transizione equa e giusta”
“A due mesi dalla pubblicazione di quel documento, la Cop 24 rappresentava un’opportunità per adottare regole utili a contenere la temperatura entro i limiti prefissati. Il testo approvato sabato rappresenta una prima base. Ma omette elementi essenziali per rendere la transizione giusta, inclusiva, equa e per dare risposte ai più vulnerabili”, ha commentato in un comunicato la Réseau Action Climat, della quale fanno parte decine di associazioni ambientaliste.
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Secondo gli ambientalisti, l’accordo raggiunto alla Cop 24 di Katowice non tutela a sufficienza le popolazioni più vulnerabili di fronte ai cambiamenti climatici. In particolare, spiegano queste ultime, “il documento non include i temi dei diritti umani, della sicurezza alimentare, dell’uguaglianza di genere”. Inoltre, “benché 128 milioni di dollari siano stati promessi per il Fondo d’adattamento, le regole decise sono troppo poco stringenti per garantire che tali stanziamenti siano reali”. Inoltre, la somma “rappresenta una goccia rispetto a quanto necessario per rispondere alle necessità delle nazioni più vulnerabili”, ha sottolineato Fanny Petitbon della ong Care.
Tutto il testo, inoltre, è particolarmente tecnico. È possibile trovarvi ad esempio una sezione dedicata interamente al modo in cui gli stati dovranno rendere conto dei loro impegni in materia di riduzione dei gas ad effetto serra: da come contabilizzarli a su che base calcolare le diminuzioni. Fino alla flessibilità accordata ai paesei in via di sviluppo sul tema. Ma ciò che appare chiaro è che i “denominatori comuni” sono stati pochi tra i governi.
Ciò nonostante, alcuni protagonisti dei negoziati come il ministro dell’Ambiente spagnolo, Teresa Ribera, hanno accolto con favore il documento: “È sufficientemente chiaro per rendere operativo l’Accordo di Parigi. E questa è una buona notizia. Date le circostanze attuali, continuare a portare avanti il progetto è già un successo”. “Un fallimento nell’adozione del “rulebook”, dato anche il clima politico internazionale, avrebbe rischiato di rimettere in discussione i passi avanti degli ultimi anni. Ci sono stati progressi sulle regole di trasparenza così come nei fondi stanziati”, osserva Rachele Rizzo, dell’Italian Climate Network.
“Alla Cop 24 i popoli più vulnerabili sono stati abbandonati”
Decisamente più negativo il giudizio di Clément Sénéchal, di Greenpeace: “Si è scavato un fossato tra la realtà dei cambiamenti climatici descritta dalla scienza, con le sue conseguenze drammatiche per le popolazioni di alcune regioni del mondo, e l’azione politica. La Cop 24 ha offerto il triste spettacolo di nazioni che difendono i loro interessi economici e industriali, mentre quelle più vulnerabili si giocano la sopravvivenza. La realtà è che quei popoli sono stati abbandonati”.
Inoltre, il Brasile del presidente in pectore di ultra-destra Jair Bolsonaro ha bloccato le trattative sul mercato mondiale delle emissioni di CO2. Sistema che dovrebbe rappresentare un deterrente economico per chi inquina – in quanto costretto a pagare per ogni tonnellata di emissioni – ma sul quale i governi non hanno trovato un accordo per quanto riguarda la contabilizzazione della CO2 dispersa nell’atmosfera.
Anche la Turchia ha reso complicati i negoziati, come già accaduto in precedenti edizioni delle Cop. Ankara rifiuta infatti di essere classificata nella lista dei paesi sviluppati dell’Unfccc, la Convenzione quadro delle Nazioni Uniti sui cambiamenti climatici, perché ciò le impedirebbe di accedere ad una serie di aiuti finanziari.
Procrastinato un accordo sul mercato delle emissioni di CO2
Le ong, inoltre, hanno puntato il dito contro “la presidenza debole della Polonia che ha limitato la portata del testo”. Ma anche nei confronti della Francia di Emmanuel Macron, “che si era lanciata in progetti diplomatici come il One Planet Summit ma la cui presenza politica a Katowice è stata talmente ridotta al minimo da averne compromesso il ruolo di leader mondiale in seno alle Nazioni Unite”.
Resta irrisolto un altro tema-chiave della lotta ai cambiamenti climatici: quello dei cosiddetti Indc (Intended Nationally Determined Contributions). Ovvero delle promesse di riduzione delle emissioni di CO2 che furono avanzate dai singoli governi prima della Cop 21, nel 2015. Secondo quegli impegni, infatti, la temperatura media globale, alla fine del secolo, aumenterò di oltre 3 gradi centigradi. È chiaro, perciò, che il successo dell’umanità nella battaglia per salvare il clima dipenderà dalla revisione di tali promesse. “Senza azioni immediate – ha osservato in questo senso Jennifer Morgan, direttrice di Greenpeace International – anche le regole più rigide non porteranno da alcuna parte. Ci aspettavamo degli impegni ma i governi non hanno risposto. Ciò è moralmente inaccettabile”.
Il discorso di Greta Thunberg, 15enne che ha scosso la Cop 24
Il mondo non ha dunque ascoltato le richieste giunte “dal basso”. Come quella della quindicenne Greta Thunberg, che ha scosso i delegati alla Cop 24 con un discorso breve, conciso e particolarmente duro. Rivolgendosi ai rappresentanti dei governi ha affermato: “Voi avete paura di essere impopolari, io no. Quando sarà vecchia un giorno forse mi chiederanno di voi, di cosa avete fatto quando eravamo ancora in tempo per agire. Questa è una crisi e non possiamo risolverla senza trattarla come tale. Ma non siamo venuti qui per implorarvi: ci avete ignorato in passato e lo farete anche stavolta. Siamo venuti qui per spiegarvi che il cambiamento sta arrivando, che vi piaccia o no”.
Il tema degli Indc sarà riproposto alla prossima Cop 25, che si terrà a Santiago, in Cile, nel novembre del 2019. In America Latina, infine, si dovrà affrontare – per l’ennesima volta – il nodo dei 100 miliardi di dollari di trasferimenti dai paesi ricchi a quelli poveri, promessi alla Cop 15 di Copenaghen, nel 2009, e mai stanziati per intero. L’Italia, invece, si è candidata ad ospitare la Cop26, che si terrà nel 2020. A confermarlo è stato il ministro dell’Ambiente Sergio Costa. Lifegate
24 Novembre 2024