Bonelli (Verdi): «A questo punto il ministro Prestigiacomo dia le dimissioni»
Inquinamento industriale, dall’Ue una nuova condanna per l’Italia: mancato rispetto dell’Ippc
Legambiente: «L’Italia concluda le procedure di autorizzazione per gli impianti»
La Corte di giustizia europea condanna l’Italia per non aver rispettato la direttiva per la riduzione e la prevenzione dell’inquinamento (Ippc), quella che ha istituito l’autorizzazione integrata ambientale (Aia). L’Italia non ha adottato le misure necessarie per i controlli sugli impianti esistenti attraverso le autorizzazioni rilasciate, ovvero mediante il riesame e l’aggiornamento delle prescrizioni.
La vicenda ha inizio nel 2005 – per la precisione fra marzo 2005 e febbraio 2007 – quando la Commissione ha richiamato l’attenzione degli Stati membri sulla necessità di rispettare determinati termini. Ossia la scadenza del 30 ottobre 2007 per quanto riguarda le condizioni di autorizzazione e di controllo del funzionamento degli impianti esistenti.
Quindi ha invitato tutti gli Stati membri a fornirle informazioni sul numero totale di impianti esistenti, di autorizzazioni nuove, riesaminate e aggiornate per tali impianti. Così ha constatato, che molti degli impianti esistenti in Italia erano in funzione senza essere dotati dell’autorizzazione.
Dalle informazioni comunicate dall’Italia nel 2009 è emerso che soltanto una parte delle autorizzazioni preesistenti era stata riesaminata e aggiornata, mentre le autorità competenti non avevano ritenuto necessario riesaminare le autorizzazioni di 608 impianti preesistenti.
Al 30 ottobre 2009 risultava che su 5.669 impianti esistenti in esercizio, 4.465 fossero dotati di autorizzazione integrata ambientale e per i rimanenti 1.204 impianti in esercizio fossero in corso procedure di rilascio di autorizzazioni integrate ambientali. Inoltre, da una nota dell’Italia del 14 aprile 2009 è emerso che le autorità competenti non erano neppure in possesso di tutte le informazioni relative al numero di impianti presenti sul territorio nazionale e alle loro attività. Così come non risultava sufficientemente dimostrata l’equivalenza tra le autorizzazioni ambientali preesistenti e le autorizzazioni integrate ambientali ai sensi della direttiva Ipcc.
Ricordiamo che l’Italia, con l’adozione del decreto legge 180/2007 ha prorogato al 31 marzo 2008 il termine per l’adeguamento degli impianti esistenti alle disposizioni della direttiva Ippc e ha previsto, in caso di inadempienza delle autorità competenti, l’attivazione urgente del potere sostitutivo dello Stato.
La direttiva Ippc (2008/1/CE) ha per oggetto la prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento proveniente da un’ampia gamma di attività industriali (allegato I) ed è diretta a conseguire un livello elevato di protezione dell’ambiente nel suo complesso.
Tra i vari obblighi che l’Unione ha imposto agli Stati membri compare il rilascio dell’autorizzazione integrale ambientale, finalizzato al conseguimento di un livello elevato di protezione dell’ambiente nel suo complesso. Così come compare pure il riesame delle autorizzazioni preesistenti. Il riesame consiste in una valutazione approfondita delle condizioni esistenti al momento del rilascio, con la conseguente possibilità di verificare la loro conformità ai requisiti specifici della direttiva e, quindi, l’eventuale necessità di un aggiornamento.
E comunque sia al momento del rilascio sia del riesame dell’autorizzazione integrata i requisiti relativi al funzionamento degli impianti esistenti devono essere applicati allo stesso modo.
La disciplina muove dalla premessa che un approccio normativo settoriale e non coordinato ai problemi causati dall’ambiente rischia di rilevarsi inefficace. Il pericolo è che le misure di prevenzione e di abbattimento a tutela di un unico settore ambientale potrebbero finire per traslare l’inquinamento in un altro settore anziché proteggere l’ambiente nel suo complesso. Nel tentativo di eliminare il problema il legislatore europeo ha creato e disposto una serie di strumenti volti a consentire una valutazione d’insieme e globale dell’impatto che una impresa ha sull’ambiente attraverso un approccio integrato del problema.
E l’Aia è una soluzione: una autorizzazione ambientale unica e rilasciata a conclusione di un unico procedimento che permette la cessione (a certe condizioni) di inquinanti in aria, acqua, suolo e sottosuolo.
E in una nota Legambiente commenta così la condanna: «E’ ineccepibile. In Italia, infatti, ci sono tuttora grandi impianti industriali che continuano ad emettere inquinanti in aria, acqua e suolo e ad operare al di fuori delle regole decise a livello comunitario».
Stefano Ciafani, responsabile scientifico di Legambiente aggiunge: «Ancora molti siti industriali italiani – ha aggiunto Ciafani – sono ancora privi delle nuove Autorizzazioni integrate ambientali (Aia) che dovevano essere rilasciate già dalla fine del 2007. Ne è esempio l’Ilva di Taranto, uno dei più grandi complessi industriali d’Europa, noto negli anni scorsi per le sue elevate emissioni di diossina e per quelle di benzo(a)pirene. Ma anche per questo cancerogeno invece di intervenire per abbassarne le emissioni, il Governo con il recente Dlgs 155/2010 ha prorogato l’entrata in vigore del valore limite al 2012. Ci auguriamo pertanto che, dopo questa condanna, la Commissione Aia e il Ministero dell’Ambiente concludano al più presto le procedure di autorizzazione, evitando scorciatoie pericolose, che al danno farebbero seguire una imperdonabile beffa».
I ritardi si registrano anche nei registri Ines (Inventario Nazionale delle Emissioni e loro Sorgenti) e E-PRTR (European Pollutant Release and Transfer Register) previsti sempre dalla Direttiva Ippc per il censimento delle emissioni inquinanti provenienti dagli impianti industriali. Anche in quest’ambito l’Italia è in forte ritardo: la sua validazione dei dati è ferma al 2006 e ancora non ha aggiornato il registro nazionale con i datidel 2007 e 2008.
Per il presidente nazionale dei Verdi Angelo Bonelli «La decisione della Corte di giustizia dell’Unione Europea rappresenta l’ennesima gravissima bocciatura per il ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo che, a questo punto dovrebbe avere un gesto di buon senso e rassegnare le proprie dimissioni».
«In questa condanna le responsabilità della Prestigiacomo sono evidenti – spiega il leader ecologista -. Al primo Consiglio dei Ministri del governo Berlusconi (quello svoltosi a Napoli), il ministro ha completamente azzerato la commissione Ipcc composta da 25 membri di cui 23 tecnici (tra i quali c’erano il prof. Luciano Caioti, prorettore della Sapienza, il dott. Mauro Rodadori del CNR e uno dei massimi esperti di diossina in Italia e ing. Alfredo Pini, nominato come consulente di numerose procure in indagini sull’inquinamento), sostituendola con un’altra Commissione di 23 membri (di cui 11 tra giuristi e commercialisti) la cui presidenza è stata affidata ad un ingegnere nel cui curriculum spiccano pubblicazioni sulle pavimentazioni stradali».
«La vecchia commissione aveva chiuso 74 istruttorie che sarebbero arrivate a conclusione a settembre del 2008 – continua -. Ad oggi la Commisione nominata dalla Prestigiacomo non ha rilasciato nemmeno 80, mentre l’Aia (Autorizzazione integrata ambientale) per l’Ilva di Taranto, città dove viene emessa il 98% della diossina in Italia è arrivata solo due mesi fa’ ed è già stata impugnata al Tar perché presenta evidenti limiti. Ancora oggi la maggior parte dei più grandi impianti chimici e siderurgici italiani ad oggi non hanno l’Aia».
«Questa dopo la bocciatura del decreto che stabiliva la deroga del benzo(a)pirene è la seconda gravissima bocciatura per il ministro Prestigiacomo e per il governo Berlusconi su questioni fondamentali per la tutela della salute dei cittadini e salvaguardia dell’Ambiente – conclude Bonelli -. A questo punto il ministro dovrebbe trarne le conseguenze».
Eleonora Santucci
23 Novembre 2024