Sull’ultimo numero della prestigiosa rivista scientifica “Nature” è apparsa una ricerca molto interessante dedicata all’analisi delle minacce globali che incombono sulla sicurezza umana per l’approvvigionamento dell’acqua e al loro legame con le minacce nei confronti della salute della biodiversità degli ecosistemi di acque dolci (Vorosmarty et al., 2010, Global threats to human water security and river biodiversity, Nature, 467, 555-561).
La ricerca documenta che quasi l’80% della popolazione umana, ovvero 4,8 miliardi di persone (sugli oltre 6,8 miliardi che oggi abitano il nostro pianeta), vive in aree che si trovano ad un alto livello di minaccia per quanto riguarda la sicurezza dell’approvvigionamento idrico e lo stato di salute della biodiversità degli ambienti di acque dolci.
Si tratta di ecosistemi fortemente minacciati dall’inquinamento, dalla costruzione di dighe, dalla presenza di specie invasive, dalla trasformazione degli habitat rivieraschi, ecc. Lo studio è il primo che correla i fattori che minacciano la sicurezza umana dell’approvvigionamento idrico con la situazione dello stato di salute della biodiversità degli ecosistemi che forniscono l’acqua e dimostra chiaramente la necessità e l’urgenza di gestire in maniera oculata e coordinata, la richiesta di acqua per le società umane conservando e garantendo i servizi che gli ecosistemi di acque dolci offrono al nostro benessere ed alla nostra sopravvivenza.
Lo studio, che ha come primo autore Charles Vorosmarty della City University di New York, si è anche guadagnato la copertina di “Nature” di questa settimana. I fattori di stress che minacciano gli ecosistemi di acque dolci, sottolinea la ricerca, mettono in pericolo la sicurezza delle acque per uso umano e il 65% degli habitat dei fiumi del mondo si trova in una situazione di minaccia definita da moderata a molto alta, con effetti che mettono in crisi anche la sopravvivenza di migliaia di specie acquatiche. Nelle mappe elaborate dai ricercatori si osserva che i fiumi maggiormente minacciati si trovano soprattutto in India, Europa, Medio Oriente, paesi del sud-est asiatico e gli Stati Uniti.
Le regioni del mondo che presentano ampie aree di agricoltura intensiva e un’alta densità di insediamenti umani, come avviene in Europa e Stati Uniti, dimostrano alti livelli di minaccia sia per l’approvvigionamento idrico che per la salute della biodiversità. Solo una piccola frazione dei fiumi del pianeta appare non significativamente coinvolta dall’intervento umano, come si verifica, ad esempio, per le aree remote del Rio delle Amazzoni e del bacino del Congo.
L’analisi costituisce il frutto della prima iniziativa di questo tipo su scala globale che, grazie a simulazioni al computer, quantifica l’ impatto di 23 differenti fattori di stress su biodiversità dei fiumi e sicurezza delle acque. I ricercatori sottolineano come non sia più possibile riferirsi alla sicurezza delle acque da utilizzare per scopi umani in maniera scollegata rispetto al valore della biodiversità di questi straordinari ecosistemi. Lo studio pubblicato su “Nature” analizza queste due problematiche ma offre anche strumenti ai governi per rispondere alla crisi globale in cui versano oggi i fiumi del nostro mondo.
Praticamente quasi tutta l’umanità vive in prossimità di risorse idriche, siano esse la parte terminale di una conduttura o la presenza di un fiume. L’umanità ha infatti bisogno di acqua per sopravvivere, coltivare i raccolti, generare energia e produrre i beni di uso quotidiano. Anche se, attualmente, meno dell’1% delle risorse idriche del pianeta può essere utilizzato direttamente dall’umanità, le risorse idriche disponibili devono soddisfare le esigenze umane e ambientali che sono inscindibili fra di loro. La questione centrale è quindi proprio quella di garantire quantità sufficienti di acqua di qualità soddisfacente al genere umano, impedendo la distruzione degli ecosistemi che sono fondamentali per il suo approvvigionamento, quali fiumi, laghi e falde acquifere.
Ad ora, i servizi offerti all’economia umana dagli ecosistemi di acqua dolce, comprendenti, ma certo non limitati alla sola fornitura di acqua, vengono sfruttati oltre i livelli sostenibili già rispetto al livello della domanda attuale, come ha ampiamente dimostrato il ben noto Millennium ecosystem assessment, il grande studio internazionale patrocinato dall’ONU, sullo stato di salute degli ecosistemi planetari ed il loro futuro pubblicato nel 2005 (vedasi www.meaweb.org).
Inoltre si prevede che la domanda di risorse idriche, la cosidetta Impronta idrica dell’umanità continui a crescere in molte parti del mondo. I principali impatti dell’Impronta idrica dell’umanità sugli ecosistemi d’acqua dolce derivano dall’incremento della frammentazione dei fiumi, dalla captazione eccessiva d’acqua e dall’inquinamento delle risorse idriche. Inoltre gli incombenti impatti dei cambiamenti climatici in atto potrebbero esacerbare la situazione.
Gli effetti a catena su scala mondiale della penuria di risorse idriche sono stati compresi a fondo nel momento in cui le metodologie di calcolo dell’Impronta idrica hanno evidenziato, senza ombra di dubbio, fino a che punto paesi ed economie dipendano dal commercio dell’acqua virtuale inclusa in beni e servizi, cioè quella acqua che non viene considerata in nessuna valutazione economica, ma che viene utilizzata nell’intero arco di ogni processo produttivo (dal produrre una tazza di caffè o una t-shirt di cotone, o un chilo di bistecca di manzo).
La sempre crescente richiesta di acqua ed energia idroelettrica, congiuntamente ai tentativi di controllare le inondazioni e di favorire la navigazione fluviale, ha portato alla costruzione di dighe e altre infrastrutture come chiuse, dighe sommergibili e argini sulla maggior parte dei grandi fiumi del mondo.
Complessivamente, su 177 grandi fiumi di lunghezza superiore a 1.000 km, solo 64 scorrono liberamente, senza dighe o altre barriere , come ha dimostrato un interessante analisi del WWF pubblicata nel 2006 (“Free-flowing rivers: economic luxury or ecological necessity?”). Un’infrastruttura idrica può portare benefici, ma esercita anche un profondo impatto sugli ecosistemi d’acqua dolce e sulle popolazioni che dipendono dai servizi forniti da tali ecosistemi.
Le dighe alterano il regime di flusso dei fiumi modificando la quantità, i tempi e la qualità dell’acqua che scorre a valle. Le dighe più grandi possono inoltre interrompere totalmente le connessioni ecologiche fra gli habitat presenti a monte e a valle creando seri problemi anche, ad esempio, alle specie ittiche migratrici.
Le più recenti ricerche calcolano che la costruzione di dighe influisce negativamente sulla vita e sull’esistenza di circa 500 milioni di persone.
Negli ultimi decenni, l’aumentato prelievo idrico ha provocato il prosciugamento di alcuni dei più grandi fiumi del mondo. Per esempio, negli anni ’90, in Cina il fiume Giallo si è prosciugato sia lungo il corso sia alla foce per lunghi periodi di tempo; problemi enormi si sono avuti per preservare il flusso del fiume Murray in Australia e il Rio Grande, al confine fra Messico e Stati Uniti, fiumi che sperimentano entrambi lunghi periodi di siccità. Allo scopo di soddisfare la sempre crescente richiesta, l’acqua viene trasportata anche per grandi distanze da un fiume a un altro, il che può aggravare gli impatti ecologici. Talvolta, ciò avviene su larga scala, come nel caso del “South-North Water Transfer Scheme” in Cina.
Il futuro della gestione dell’acqua non può più prescindere dal tenere in alta considerazione il valore della biodiversità.
www.greenreport.it
24 Dicembre 2024