La Commissione ambiente della Camera ha “cancellato” gli elementi più interessanti della legge per la ri-pubblicizzazione del servizio idrico integrato, mentre i decreti attuativi del ddl Madia -la riforma della pubblica amministrazione- esplicitano la volontà dell’esecutivo di favorire l’ingresso di soggetti privati nel capitale dei gestori. Oggi è il World Water Day. Intervista a Paolo Carsetti del Forum italiano dei movimenti per l’acqua
Mercoledì 16 marzo è terminato il lavoro della Commissione ambiente della Camera sulla legge relativa alla “gestione pubblica delle acque e disposizioni per la ri-pubblicizzazione del servizio idrico”. I deputati hanno votato gli emendamenti al testo, che avrebbe dovuto andare in aula la prossima settimana, il 29 marzo. Usiamo il condizionale perché la calendarizzazione era stata richiesta dal gruppo del M5S, i cui componenti hanno però ritirato la propria firma in calce al testo di legge, insieme ai deputati di SEL: non condividono, infatti, alcuni interventi sulla legge promossi da deputati della maggioranza, che hanno di fatto “depotenziato” il contenuto (come scrivevamo il 4 marzo).
Il testo originale “ricalcava nei contenuti la legge d’iniziativa popolare del 2007, presentata dal Forum italiano dei movimenti per l’acqua, ed era stata aggiornata e depositata dopo averne discusso con parlamentari di tutti gli schieramenti, quelli che hanno aderito all’intergruppo parlamentare per l’acqua bene comune, nato nel giugno del 2013” racconta Paolo Carsetti, del Forum.
Poiché il testo era stato condiviso e recava la firma di un centinaio di parlamentari, secondo Carsetti gli interventi che lo hanno modificano “sono da considerare anche più gravi”. In particolare, secondo il Forum italiano dei movimenti per l’acqua è significativa la soppressione dell’articolo 6, quella che -spiega Carsetti- “disciplinava i processi di ri-pubblicizzazione, ovvero la trasformazione del gestore in ente di diritto pubblico: era una norma stringente e prevedeva che entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge si sarebbero avviate le trasformazioni dei soggetti gestori. Veniva costituito anche un Fondo per la ri-pubblicizzazione, per garantire la possibilità di ri-acquistare le quote societarie cedute a soggetti privati”.
Secondo Carsetti, tuttavia, il modo migliore per “leggere” il dibattito intorno alla legge attualmente al vaglio dei parlamentari è inserendola in una prospettiva capace di considerare tutti gli atti che negli ultimi anni “hanno fissato dei paletti molto stringenti rispetto alla scelta dell’affidamento in house, cioè a soggetti pubblici, intendendo come tali aziende speciali ma anche società per azioni a totale capitale pubblico”.
Con l’approvazione della legge di Stabilità 2015, ad esempio, è stato inserito un comma che prevede l’obbligo per gli enti locali di accantonare delle somme a bilancio, per garantirsi coperture in caso di bilancio in rosso per la società partecipate. Ciò rappresenta -potenzialmente- un problema, dato che si tratta di bloccare (accantonare) risorse che potrebbe coprire investimenti e spese correnti, in un contatto di limiti di bilancio degli enti locali, colpiti dalla spending review (tagli nei trasferimenti). Anche una nota dell’ANCI (Associazione nazionale dei Comuni italiani) spiega come una lettura restrittiva della norma (secondo cui l’accantonamento dovrebbe essere pari al capitale investito) “rischierebbe di rendere, di fatto, impraticabile il ricorso all’in house d’ambito, limitando quindi l’autonomia di scelta dell’amministrazione nella gestione del servizio sovra comunale”.
Spiega Paolo Carsetti: “A Reggio Emilia, a seguito di questa norma, è stato frenato nel corso di una notte, dopo una decisione in tal senso nella direzione provinciale del Partito democratico, che rappresenta la maggioranza in quasi tutti gli enti locali, il processo di ri-pubblicizzazione in corso, che era già stato approvato in consiglio comunale a Reggio Emilia e in consiglio provinciale: si andava verso la costituzione di un soggetto pubblico, che avrebbe preso il posto dell’attuale gestore, IREN, una società quotata in Borsa. La norma della legge di Stabilità 2015 è stata indicata come ‘alibi’, segnalando che gli enti locali non sarebbero in grado di sopportare una spesa del genera. Ed oggi si va verso l’affidamento del servizio a una società mista”.
Se la legge sulla ri-pubblicizzazione è stata depotenziata, c’è un altro intervento legislativo in corso che, sebbene poco dibattuto, comporterà profondi cambiamenti nella gestione dei servizi pubblici locali, compreso quello idrico integrato: sono in arrivo, infatti, i decreti attuativo del ddl Madia sulla riforma della pubblica amministrazione (PA), e in particolare è stato diffuso dal ministero della PA quanto che viene definito “testo unico dei servizi pubblici locali”.
“Nella legge delega -spiega Carsetti- un emendamento prendeva che la nuova disciplina avrebbe dovuto tener conto dell’esito referendario del 2011, in seguito alla campagna ‘2 sì per l’acqua bene comune’. In particolare, nell’articolo sulle forme di gestione è escluso l’affidamento diretto ad aziende speciali, cioè a un ente di diritto pubblico, quello che è stato fatto a Napoli. Per quanto riguarda la tariffa, invece, viene re-introdotto nel calcolo della tariffa il principio dell’adeguata remunerazione del capitale investito. In questo modo si contraddice la volontà popolare (l’abrogazione dell’adeguata remunerazione del capitale investito era l’oggetto del secondo quesito referendario, ndr), ma la stessa delega”.
“Il decreto attuativo sui servizi pubblici sta iniziando il proprio iter per entrare in vigore, che prevede un parere del Consiglio di Stato, quello della Conferenza Stato-regioni e poi il passaggio nelle commissioni competenti” spiega Carsetti.
E l’impianto del decreto rilancia le privatizzazioni, cioè la cessione di quote azionarie oggi detenute da enti locali. “Lo esplicita la relazione di accompagnamento: obiettivo è la riduzione delle partecipazione pubblica, per favorire l’ingresso del capitale privato”.
di Luca Martinelli – Altreconomia
22 Novembre 2024