Se i soldi arriveranno, spenderli per garantire un futuro più giusto alle nuove generazioni diventerà il terreno su cui la politica sarà valutata: non tanto per l’invito del premier Giuseppe Conte a “mandarli a casa” se fallissero – l’ipotesi quindi è già contemplata – bensì perché i 209 miliardi di fondi europei rischiano di essere l’ultima possibilità di ricomporre la frattura economico-sociale del nostro Paese. Ed è per questo che, a fronte dei 557 progetti saltati fuori dai cassetti dei ministeri per dare l’assalto al Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), il Forum disuguaglianze e diversità e Legambiente hanno voluto dare il loro contributo tratteggiando dieci punti da cui partire: la differenza di approccio, rispetto all’assalto alla diligenza da parte di qualsiasi categoria, dagli industriali alle amministrazioni pubbliche, sono concretezza delle idee e appartenenza ad un unico gruppo di interesse, i cittadini.
Vietate dunque le operazioni di maquillage solo per incamerare risorse:
“Serve un Recovery Plan green, senza greenwashing”, ha detto Stefano Ciafani, presidente di Legambiente, mettendo il dito nella piaga delle decine di progetti anticipati a mezzo stampa che, dietro alla facciata ambientale, sembrano soprattutto un tentativo di conquistare risorse per vecchie idee.
“Non passerà a Bruxelles un piano che non indichi gli effetti sulla vita delle persone in termini di giustizia sociale e ambientale”, ha spiegato Fabrizio Barca, coordinatore del Forum ed ex ministro della Coesione territoriale nel governo Monti, che nel 2012-2013 riuscì per la prima volta ad aumentare l’impiego dei fondi europei assegnati al nostro Paese, normalmente utilizzati solo al 40% per mancanza di piani e strutture adeguate.
Prima di raccontare le sfide green che, nelle parole di Legambiente e Forum, “possono cambiare il futuro”, tocca però la premessa obbligata: i 209 miliardi tra prestiti e trasferimenti assegnati all’Italia dopo il lungo negoziato di luglio culminato con l’approvazione del Next Generation Ue non sono vicinissimi, a dispetto delle rassicurazioni del governo. Il cronoprogramma prevede che, oltre a un anticipo del 10% richiedibile nell’immediato, i fondi inizino a essere erogati da aprile, previa approvazione del piano nazionale di ripresa.
Siccome però il diavolo sta nei dettagli – o meglio nelle tecnicalità – la questione è decisamente più complessa: il via libera passa attraverso l’approvazione del budget Ue per il 2021-2027 da parte del parlamento europeo, dall’intesa all’interno del consiglio europeo sulle condizionalità per l’erogazione (l’ipotesi cioè di bloccare i fondi nel caso gli Stati membri non rispettino lo stato di diritto ma anche, cosa di cui si è discusso poco, le raccomandazioni fornite al Paese dalla commissione), dalla validazione dei piani nei parlamenti nazionali. E il cammino è tutt’altro che scontato, come dimostrano le trattative non semplici di questi giorni.
Se e quando i soldi arriveranno, dopo una crisi economica e sociale che sta provando il Paese mai ripresosi dalla grande recessione inaugurata dal crac Lehman Brothers, utilizzarli in modo mirato deve essere dunque una missione.
“Si tratta di restituire speranza a un Paese che negli ultimi trenta anni si è impoverito e ha visto progressivamente indebolire la rete di infrastrutture sociali e sanitarie, scolastiche e universitarie”, segnalano Legambiente e Forum. “Il piano dovrà disegnare interventi che favoriscano in primo luogo le fasce sociali più deboli, per ridurre la divaricazione sociale cresciuta in questi anni tra chi si può permettere di cambiare – con una casa certificata, il solare, l’auto elettrica, prodotti biologici e di qualità, materiali riciclati – e chi rischia di pagare di più per i servizi, la casa in cui vive e per muoversi, senza vedere alcun miglioramento e con anche il rischio di perdere il lavoro”.
Come? Abbandonando le ricette del passato, “con l’obiettivo di build back better: ricostruire meglio e in modo diverso, con innovazione, sostenibilità, attenzione al disagio sociale e alle disuguaglianze cresciute in questi anni”.
A partire da dieci idee concrete che si incanalano nel “Green new deal” voluto dalla presidentessa della Commissione Ue Ursula Von der Leyen, risoluta nel chiarire che almeno il 37% dei fondi complessivi dovranno essere utilizzati per la transizione ambientale.
1. Un salto di scala industriale, territoriale e comunitario per le fonti rinnovabili: una nuova missione di strategia industriale basata su impianti eolici offshore e solari a terra in aree dismesse e comunità energetiche e autoproduzione da fonti rinnovabili.
Le riforme indispensabili sono la semplificazione delle procedure e l’eliminazione dei sussidi alle fonti fossili nella produzione e consumo di energia.
2. Dimezzare i consumi energetici del patrimonio edilizio pubblico e privato
La proroga del superbonus al 2025 con revisione dei criteri in modo da spingere l’efficienza energetica e le fonti rinnovabili in sostituzione degli impianti a gas e l’introduzione di un fondo per l’accesso al credito da parte delle famiglie per gli interventi di efficienza energetica.
Le riforme indispensabili sono l’accelerazione e programmazione degli interventi di efficienza energetica sul patrimonio edilizio pubblico di scuole, ospedali, uffici pubblici, edilizia sociale; la semplificazione degli interventi di riqualificazione energetica e sostituzione di edifici con prestazioni di Classe A.
3. Fare di Taranto e Brindisi il distretto dell’innovazione industriale green
Innovazione e giusta transizione nei territori della rivoluzione industriale: con le prossime chiusure di numerose centrali a carbone e olio combustibile e di tante imprese che dovranno ripensare le produzioni industriali in un contesto di forte innovazione, occorrerà aiutare la riconversione del sistema e creare opportunità di riqualificazione e rilancio delle attività. Le missioni strategiche sono finanziare con le risorse del Just transition fund gli interventi di rigenerazione ambientale e rilancio economico, culturale e industriale delle aree della transizione energetica e della dismissione produttiva.
4. Accelerare l’economia circolare rafforzando le filiere territoriali
Completare l’impiantistica per chiudere il ciclo della materia e accelerare la creazione di un mercato delle materie prime, seconde e di materiali provenienti da recupero e riuso.
5. Accelerare la transizione industriale green
La definizione di una strategia nazionale per gli investimenti nei settori industriali strategici della decarbonizzazione su cui convogliare le risorse del recovery plan con priorità a automotive, batterie, idrogeno verde, elettrificazione e digitalizzazione dei porti e del trasporto pubblico locale. E attraverso il prolungamento degli incentivi Industria 4.0 al 2025 allargandoli agli interventi green.
6. Ridurre il gap nell’accesso alla mobilità sostenibile tra i territori e nelle periferie
Completare l’elettrificazione delle linee ferroviarie e l’installazione del sistema di controllo e sicurezza al Sud, nelle isole, nelle linee nazionali e regionali ancora sprovviste; acquistare treni con standard ad alta velocità al sud e lanciare una gara per aumentare l’offerta di servizio; realizzare un progetto di rilancio delle infrastrutture di mobilità sostenibile nelle aree urbane italiane.
L’obiettivo deve essere di realizzare entro il 2030 almeno 200 km metro, 250 km di tram, 5.000 km di percorsi ciclabili.
7. Rigenerazione delle aree urbane
Servono politiche che affrontino la situazione delle periferie, riqualifichino gli spazi pubblici e la mobilità, riducano i problemi di accesso alla casa e di degrado del patrimonio edilizio esistente.
8. Ridurre i ritardi e i divari digitali
L’accesso alla connettività è un diritto da garantire a tutti i cittadini e per questo è fondamentale accelerare i lavori per la banda ultralarga, investire in infrastrutture di cloud computing e intelligenza artificiale, realizzare nelle città metropolitane piattaforme digitali pubbliche a servizio delle politiche di mobilità e di adattamento ai cambiamenti climatici, accelerare nel dispiegamento del 5G garantendo informazione ai cittadini e applicazione di standard di esposizione a tutela della salute e la definizione di regolamenti comunali per localizzare le stazioni radio base.
9. Sicurezza e adattamento al clima dei territori
Nel territorio italiano stanno accelerando i fenomeni meteorologici estremi che provocano danni nei territori e vittime: dal 2010 vi sono stati quasi 600 eventi che hanno provocato danni rilevanti in 350 Comuni. Le missioni strategiche sono finanziare piani e interventi di adattamento climatico nelle aree urbane a maggior rischio; rafforzare le attività di monitoraggio degli impatti sanitari dei cambiamenti climatici.
10. Rafforzare il modello agroecologico
La lotta ai cambiamenti climatici passa per il rafforzamento e la corretta gestione del patrimonio forestale e nella creazione di un modello agricolo che contribuisca alla riduzione degli impatti che alterano il clima, alla valorizzazione del biologico e alla qualificazione dell’agricoltura integrata, promuovendo l’economia circolare e l’utilizzo di materiali riutilizzabili, riciclabili e compostabili, fino al profilo etico del lavoro in agricoltura e alla lotta all’uso dei fitofarmaci illegali