DEBITO PUBBLICO
Beati i poveri che saranno i primi. A pagarlo
Tonino Perna
Prima le Regioni, adesso i Comuni. Il federalismo fiscale ha innescato una grande conflittualità tra lo stato e gli enti locali. E non è che l’inizio. Chi si illudeva che questo strumento potesse essere usato per far crescere le autonomie locali (oltre il centrodestra anche il Pd) senza intaccare i livelli standard dei servizi pubblici, non faceva i conti col fatto che in tempi di vacche magrissime il «federalismo fiscale» si traduce in una sciagura per i ceti popolari e le aree più deboli del paese.
E’ ormai evidente che se verranno approvati i decreti attuativi del federalismo fiscale il rischio è quello di spaccare definitivamente il nostro paese : ad ogni euro pro-capite di tagli ai Comuni del Nord corrispondono 8,5 euro pro-capite nel Mezzogiorno. Il fatto grave è che, dobbiamo ricordarlo, il federalismo fiscale è stato votato l’anno scorso da tutte le forze politiche con la sola eccezione del Udc e l’astensione ipocrita del Pd. Si è parlato di federalismo che serve a dare maggiore responsabilità agli enti locali, di federalismo che serve a rinforzare l’Unità d’Italia (sic!), di federalismo che elimina gli sprechi e premia gli enti virtuosi. Nessuno ha avuto il coraggio di dire che il federalismo, voluto fortemente dalla Lega Nord, ha avuto fin dall’inizio due obiettivi ben chiari. Il primo è quello di ridistribuire la ricchezza nazionale dal sud verso il nord, di dare più risorse a chi – regioni o comuni- è più ricco ed ha più capacità contributiva . Il secondo, ancora più importante, è quello di spalmare il debito pubblico sul territorio nazionale, nel tentativo di ridurlo a danno delle fasce sociali ed aree più deboli, di smantellare il welfare, spostando il conflitto a livello locale. E’ quello che sta avvenendo con il settore sanitario e dei servizi sociali. E’ quello che è avvenuto nella Scuola: i tagli di Gelmini sono stati scaricati sulle singole regioni e Provveditorati che sono così diventati controparte dei docenti precari che hanno perso il posto ( 80.000 nel biennio 2009/2010).
E’ la stessa logica che segue Confindustria trainata dal leader Marchionne: eliminare il contratto nazionale e spostare la contrattazione a livello di singola azienda. Per il padronato si tratta di dividere i lavoratori e di rendere ancora più flessibile e ricattabile la forza-lavoro. Per lo Stato la sfida è ancora più ambiziosa : ridurre sensibilmente il debito pubblico ormai pericolosamente vicino al 120% del Pil, scaricando sugli enti locali. La strategia di questo governo è quella di far pagare ai territori più deboli , alla classe operaia ed ai ceti medi l’onere della riduzione del debito, di cui hanno in passato goduto soprattutto le grandi imprese e le clientele politiche.
D’altra parte, la questione del debito pubblico è una questione politica di prima grandezza che finora è stata esorcizzata da tutte le forze politiche. Sappiamo che i tre grandi hedge fund che hanno giocato l’anno scorso al ribasso sui titoli pubblici della Grecia e dell’Irlanda, punteranno quest’anno al default di Portogallo, Spagna ed Italia. Pertanto, non si può far finta che il problema non esista o proporre, come fanno gli economisti neo-keynesiani, ignorando il peso della finanza speculativa internazionale, di aumentare la spesa per contrastare la recessione. Purtroppo manca, anche a sinistra, una proposta di drastica riduzione del debito pubblico che non sia pagata dai ceti popolari e medi.
Nel passato le monarchie, ducati e principati, quando troppo indebitati troppo ricorrevano al famoso «signoraggio» sulla moneta (di oro o argento). Vale a dire: ritiravano tutte le monete in circolazione, le fondevano e le rimettevano in circolo allo stesso valore nominale, ma con una significativa riduzione del peso unitario. Oggi, solo gli Usa hanno di fatto praticato una strategia simile, che per l’appunto viene chiamata «signoraggio» del dollaro, immettendo nel mercato cartamoneta a volontà, che il resto del mondo acquista obtorto collo. Ma, il crescente potere finanziario della Cina sta mettendo in discussione questo moderno «signoraggio» e nel giro di qualche anno il dollaro perderà il privilegio di essere la predominante moneta di riserva internazionale. Per questo, anche negli Usa il peso insopportabile del debito pubblico sta cercando di trovare delle alternative.
Negli ultimi mesi, infatti, il governo nordamericano comincia ad intravedere una via d’uscita che ha molto a che fare con il federalismo fiscale e potrebbe diventare un modello anche per noi. Gli stati federali più indebitati(a partire dallo stato della California con i suoi 347 miliardi di debito) vengono abbandonati e rischiano il default che porterebbe una serie di conseguenze gravi tra i pensionati, i disoccupati ed anche tra i detentori di Bot federali. Ma lo Stato centrale ne trarrebbe un sospiro di sollievo. In fondo che falliscano singoli comuni o stati federali non intacca il valore della valuta e lascia fuori la speculazione finanziaria sui Bot della Federal Reserve e sul dollaro.
Il piano Tremonti potrebbe seguire questo modello conseguendo un doppio vantaggio. Con il federalismo fiscale darebbe, relativamente al resto del paese, più soldi alle aree forti ricevendo il plauso della Lega. Scaricando il fallimento dello Stato sui Comuni/Regioni più deboli ed indebitati, riuscirebbe a ridurre il debito pubblico ed a evitare l’attacco all’Italia da parte dei fondi speculativi.
C’è un’alternativa a questo scenario? Un’alternativa che faccia pagare il debito pubblico insostenibile a chi l’ha prodotto o ne ha beneficiato? Una tassa sui patrimoni, lasciando fuori la prima casa, potrebbe essere una prima risposta. Tassare le rendite finanziare, almeno portandole sulla media europea, potrebbe essere una seconda risposta. «Sbilanciamoci» ne ha elaborate anche altre, alcune delle quali assolutamente praticabili, a partire dal taglio alle spese militari e da imposte indirette sui consumi inquinanti. Ma ci manca un soggetto politico che porti avanti con forza una linea di politica fiscale ed economica alternativa a quella di Tremonti. Il cantiere della sinistra invocato da Vendola, potrebbe partire proprio dal nodo gordiano del debito pubblico e da una domanda politica chiara e non procastinabile: chi deve pagare i costi della crisi ?
Tonino Perna (1947 – vivente) economista e sociologo, Professore Ordinario di Sociologia Economica presso l’Università degli studi di Messina.
23 Novembre 2024