Nucleare militare: un segreto italiano
Ecco la Toscana dove vige un ferreo segreto di Stato sui pericoli atomici. Camen (Centro Applicazione Militari per l’Energia Nucleare), Cresam (Centro ricerche esperienze e studi per le applicazioni militari), Cisam (Centro per l’Applicazione Militare dell’Energia Nucleare): un cambiamento solo di facciata. Un saluto all’ingresso del ‘cimitero nucleare militare italiano’: 470 ettari di verde blindato nel cuore del parco Migliarino-San Rossore.
L’attesa è durata un anno, prima di ottenere dal ministero della Difesa l’autorizzazione a varcare l’invalicabile ingresso ai civili del Centro Interforze Studi Applicazioni Militari -istituito con decreto del 28 aprile ’94- di San Piero a Grado.
Nel Centro di ricerca bellica che lambisce il Mar Tirreno, ad un tiro di schioppo da Pisa, a due chilometri dall’immensa base Usa di Camp Darby (imbottita di ordigni nucleari, in base ai documenti ufficiali del governo Usa), la magistratura aveva aperto un’inchiesta in seguito alla presentazione di un esposto alla Procura della Repubblica. «Più di cento bidoni sono stati abbandonati per anni all’aperto. Contengono scorie e rifiuti radioattivi» ha accertato il sostituto procuratore Flavia Aleni che ha appurato -attraverso una consulenza tecnica- il grado di pericolosità. Si tratta degli scarti della lavorazione di un ventennio produttivo del reattore nucleare di media potenza Galileo Galilei (nome in codice: Rts-1), avviato nel 1960 per esperimenti di guerra e poi, ufficialmente disattivato nell’80.
“Le scorie sono rimaste lì”, racconta l’ingegnere che ha sporto denuncia “e con il tempo i contenitori si sono deteriorati. Alcuni sono arrugginiti, altri hanno evidenti fori con la possibilità che parte del materiale sia uscito. Tempo fa sono stati spostati in un’altra zona della base. Un’operazione che è avvenuta senza la minima prevenzione”.
La Procura ha nominato un perito che ha svolto accertamenti e stilato una relazione, constatando la presenza nel sito di «materiale radioattivo». Secondo l’esperto che ha segnalato il caso “sono materiali entrati in contatto con il reattore e contaminati ma anche scorie della lavorazione, radionuclidi tra cui spiccano uranio e plutonio. I più pericolosi, perché non solo devono osservare rigidissime misure di prevenzione ma anche il loro smaltimento deve essere eseguito attenendosi a norme di sicurezza rigorose”.
In ossequio al decreto legislativo 230 del ’95, come viene conservato il materiale nucleare? Secondo l’ammiraglio Francesco Andreuccetti, ex direttore del centro, “Al Cisam è tutto sotto controllo e non c’è motivo di rendere pubblici i dati sul nucleare militare in Italia. Noi ci atteniamo a un regolamento interno”. Domanda ai ministri Stefania Prestigiacomo (Ambiente) e Ignazio Larussa (Difesa): quante scorie sono state prodotte e risultano presenti al Cisam? L’ultimo inventario noto all’opinione pubblica risale all’anno 2000. Appunto le stime dell’Enea, dell’Anpa, dell’Enel e addirittura un rapporto dell’Unione europea indicano «700 metri cubi». Durante il penultimo governo Berlusconi, il ministro dell’Ambiente Altero Matteoli ed il suo capo di gabinetto Paolo Togni, non hanno mai pubblicato -come prescrive la legge- l’inventario nazionale dei rifiuti radioattivi. Medesimo copione successivamente col governo Prodi ed il ministro Pecoraro Scanio. Insomma: “top secret”.
L’ex direttore del Cisam, incalzato a dovere innesta la marcia indietro tutta e ammette: “Noi in effetti abbiamo avuto ulteriori introduzioni di materiale nucleare proprio per la nostra attività di spazzini del nucleare e, di conseguenza, se invece di 700 metri cubi sono 750 non glielo so dire”. Ma proprio sui numeri si infittisce il mistero, poiché nell’Inventario nazionale rifiuti radioattivi redatto dall’Apat, i dati sul Cisam attestano una riduzione a «350 metri cubi di rifiuti radioattivi».
In virtù dello stato giuridico particolare dell’amministrazione militare, quest’area non è interessata allo stato di emergenza nucleare. Eppure il rapporto sullo ‘Stato della radioprotezione in Italia’, compilato dall’ Enea prima che la gestione del nucleare passasse alla Sogin nel 1999, considera l’impianto del Cisam tra quelli da mettere in sicurezza, considerata la pericolosità del combustibile usato prima dello spegnimento e dei rifiuti radioattivi prodotti. Proprio il Centro di ricerca militare ha tra gli altri compiti quello di analizzare la radioattività sui campioni d’acqua del porto di La Spezia e dell’Isola di Santo Stefano in Sardegna, dove il governo Usa aveva installato, a partire dal 1972 fino al 2008, in barba al Parlamento italiano, una base per sommergibili a propulsione ed armamento nucleare.
Nell’ordinanza di nomina del generale Carlo Jean a commissario con poteri speciali per il nucleare (D.P.C.M. 7 marzo 2003, numero 3267) il capo del governo Silvio Berlusconi elenca gli impianti atomici che devono essere smantellati, con il successivo stoccaggio delle scorie in un deposito unico: ma nell’atto non si menziona il reattore Galilei, né il Cisam e nemmeno viene citata la Toscana tra le regioni in emergenza a causa della presenza di plutonio e altre sostanze radioattive.
Dove sono gli elementi di combustibile irraggiato per 20 anni, le sorgenti dismesse e le scorie radioattive di prima, seconda e terza categoria?
DISCARICA MILITARE ATOMICA
Due interrogazioni al Governo Berlusconi attestano il trasferimento dall’arsenale della Marina di La Spezia al Cisam, di ben 760 chilogrammi di materiali ferrosi e cementizi contaminati da circa 2 chilogrammi di uranio impoverito. Domanda, infatti, il senatore Luigi Malabarba (Prc) il 4 febbraio 2004 (interrogazione n. 4-06049), ai ministro della Difesa, della Salute e dell’Ambiente: «quali disposizioni siano state adottate in relazione al trasporto, presso il CISAM di San Piero a Grado (Pisa), dei rifiuti nucleari, e ciò anche tenendo conto del fatto che la quantità di tali rifiuti sembra eccedere le possibilità di stoccaggio in sicurezza presso il CISAM, nonché delle conseguenze dell’inquinamento sulla popolazione locale». Il ministro Antonio Martino replicava che «gli atti sono coperti dal segreto. I materiali che l’interrogante definisce “rifiuti nucleari” sono, in effetti, materiali emettitori di radiazioni ionizzanti rimossi a cura del Cisam. L’esiguo quantitativo dei suddetti materiali è assolutamente compatibile con le possibilità di stoccaggio in sicurezza presso le aree attrezzate del predetto centro».
La deputata Elettra Deiana (Prc) si era rivolta il 22 aprile 2004 (interrogazione n. 4-09816) al presidente del Consiglio. «Le pale di elicottero incriminate per l’uranio, sono state trasferite alla chetichella, per essere lavate, al Cisam, un’altra struttura sulla quale vige il più assoluto riserbo». Il ministro Martino (14 aprile 2005) aveva confermato, tra l’altro la presenza di «n. 1 contrappeso delle pale di elicottero costituito da kg 1,8 di uranio impoverito». Si sono verificati da allora e prima, altri trasferimenti di rifiuti nucleari? I ministri della Difesa (Martino, Parisi, Larussa), osservano il silenzio stampa. Eppure il 30 dicembre 2003, l’assessore regionale all’ambiente, Tommaso Franci, il sindaco di Pisa Paolo Fontanelli ed il presidente della provincia Gino Nunes avevano pubblicamente annunciato: “Non ci sarà lo stoccaggio nel parco naturale, a san Piero a Grado, presso l’area militare Cisam, di scorie nucleari”.
Secondo gli atti ufficiali sono stati smaltiti nella discarica del Cisam i dischi di uranio impoverito che erano stati abbandonati nella discarica di Campo in Ferro, nell’area dell’Arsenale militare di La Spezia. La presenza in discarica dei dischi gettati sul terreno, materiale considerato molto pericoloso, è stata accertata dal consulente tecnico del procuratore della repubblica Attinà, ingegner Luigi Boeri, che ha avviato l’inchiesta sulle violazioni della legge Ronchi da parte de vertici della marina militare. I dischi di uranio impoverito vengono utilizzati per stabilizzare e bilanciare le pale degli elicotteri grazie ad un peso specifico (pari a 19) molto elevato.
Già nel 2002 un gruppo di cittadini segnalò la pericolosità del Cisam: la delicata fase di dismissione del reattore non verrebbe eseguita secondo regole di sicurezza e viene segnalata la presenza di un cimitero radioattivo nell’area naturalistica.
ATOMO BELLICO
Con quali compiti nasce in realtà l’attuale Cisam? “Nel 1956, presso l’Accademia navale di Livorno, era entrato in funzione il Centro per l’Applicazione Militare dell’Energia Nucleare. I primi risultati furono visibili negli anni seguenti” rivela l’ambasciatore Sergio Romano. Nel 1961 il Camen fu trasferito nella sua sede attuale, nel ’62 fu promulgata la legge istitutiva (n. 1483). In un discorso pronunciato alla Camera dei Deputati, il 23 gennaio 1969, Giuseppe Niccolai ne illustra le funzioni: «Progettare e realizzare un reattore dimostrativo completamente italiano; creare un gruppo di esperti, progettisti e operatori; esperienze necessarie per la progettazione di ulteriori impianti per usi vari (militari e civili) fino al reattore per la propulsione navale; formazione di specialisti militari per l’impiego dei reattori e per il controllo della radioattività». E infine, afferma rivolgendosi al ministro della Difesa, Gui: «produrre armi nucleari. Nei primi programmi del CAMEN si parla esplicitamente della costruzione della bomba atomica italiana».
La tentazione di costruire un proprio arsenale colpisce il governo italiano, che tra il 1974 e il 1976 fa eseguire tre test di un missile in grado di essere equipaggiato con una testata atomica. I lanci di prova avvengono in Sardegna, nel poligono militare di Quirra, all’estremo lembo sud-orientale della provincia di Nuoro. Gli esperimenti sono coperti dal solito segreto di Stato. Il primo test del missile Alfa, un vettore a due stadi, si svolge il primo febbraio 1973. La ratifica da parte italiana del trattato di non proliferazione delle armi nucleari giungerà soltanto nell’aprile del 1975. Il “Programma tecnologico diretto allo sviluppo di un carburante solido ad alto potenziale per razzi per applicazioni civili e militari” – rivelano gli incartamenti top secret del ministero della Difesa – decolla nel 1971 in collaborazione tra Marina e Aeronautica. Nessuna menzione della testata nucleare, nessun accenno alla vera natura dell’operazione.
Alfa era un razzo vettore composto da due stadi, il primo lungo quasi 4 metri, il secondo pochi centimetri meno di tre metri. Le società impegnate nel progetto erano Aeritalia, Selenia e Sistel, con Bpd Spazio incaricata di produrre il carburante. Siamo nella sesta legislatura del parlamento italiano. Presidente del consiglio dei ministri è Giulio Andreotti, responsabile della difesa è Mario Tanassi, mentre al dicastero degli esteri siede Giuseppe Medici.
La ratifica da parte italiana del trattato di non proliferazione delle armi nucleari arriverà nell’aprile del 1975: fino a quel momento e oltre i nostri governi e gli apparati militari non erano sottoposti ad alcun tipo di vincolo per ciò che riguardava la costruzione e il dispiegamento di missili a testata nucleare. L’Italia a quel tempo era sul mercato: con le centrali atomiche aperte, acquistava uranio e plutonio dagli Usa (documenti ministero degli Esteri), necessario alla realizzazione della bomba atomica. L’idea, sostiene il giornalista scientifico Giovanni Caprara “era quella di disporre di un missile simile all’americano Polaris, da poter imbarcare e lanciare da bordo di sottomarini o di unità di superficie, come l’incrociatore Giuseppe Garibaldi, già armato con lanciamissili”.
Ecco qualche documentato esempio sulle ricerche segrete. Il Rapporto 1010 (3 settembre 1973) del Camen è eloquente: “Studio sulla possibilità di impiego di plutonio in sostituzione di uranio 235 nei reattori nucleari termici”. Alla stregua del rapporto 1037 (6 maggio 1974) “Progetto di un elemento di combustibile sperimentale per esperienza di conversione Uranio-Plutonio nel reattore G. Galilei”; e del rapporto 1041 (21 agosto 1974) intitolato “Impianto di laboratorio per il ritrattamento di uranio irraggiato”. Ed ancora del rapporto 1154 (2 settembre 1977), denominato “Progetto di impianto di produzione di esafluoruro di uranio” e del rapporto 1158 (12 settembre 1977), intitolato “Immagazzinamento di rifiuti radioattivi in formazioni saline”.
Nel ’78 il Camen fu dichiarato “istituto autorizzato per la protezione dei rischi derivanti dalle radiazioni ionizzanti”. Il decreto ministeriale del 13 luglio 1985, sancì la nascita del Cresam (Centro ricerche esperienze e studi per le applicazioni militari), equiparato (con D.P.C.M. 593/1993, art. 8) a tutti gli effetti agli enti pubblici di ricerca.
Singolare coincidenza: gli esperti del Cisam hanno fatto parte della Commissione Mandelli, accusata di aver sottaciuto gli effetti mortali dell’uranio impoverito sui militari italiani.
Quanto agli incidenti, il mistero è assoluto. Un minuscolo spiraglio è stato aperto proprio dall’onorevole Niccolai che in un intervento al Parlamento aveva dichiarato al ministro della Difesa, Gui: «Un certo giorno arriva al centro del materiale contaminato da eliminare, da sotterrare. Nel laboratorio di radio-protezione è subentrato ad un libero docente di fisica sanitaria e nucleare un maggiore di fanteria. L’ufficiale vede questo materiale contaminato giacente in un magazzino e contrassegnato con la scritta «Pericolo», ma non ci pensa due volte: eliminare tale materiale è evidentemente compito suo e dei suoi uomini. Ebbene, armati di martello, con la più sbalorditiva, fanciullesca, incredibile imperizia (simili operazioni non si fanno in massa, ma uno per volta!) il maggiore di fanteria e tutti i suoi uomini effettuano l’operazione, a petto nudo, senza guanti né tuta. Il risultato è che tutti rimangono contaminati, primo fra tutti il maggiore capo del laboratorio radioprotezioni. Se il capo della protezione-radio è questo, lei può immaginare, signor ministro, il resto».
Il Centro di ricerca bellica fu diretto per anni da un ammiraglio e da alti ufficiali aderenti alla P2, la loggia massonica golpista creata da Licio Gelli, tuttora operativa nel Belpaese.
DENUNCIA INASCOLTATA
Parola di Legambiente Pisa. «Materiale radioattivo a San Piero. La popolazione deve essere informata. Non stupisce, ma preoccupa. Nel CISAM (allora CAMEN) è stato attivo negli anni settanta un reattore di ricerca e le sue scorie accantonate nella pineta, come si poteva vedere allora in un filmato presentato ai visitatori. Oggi sappiamo che la stessa struttura è autorizzata a “smaltire” rifiuti speciali radioattivi. La parola smaltire è però ingannevole: infatti non esiste alcun processo fisico o chimico che possa far perdere ai radionuclidi la proprietà di emettere quelle particelle ionizzanti che ne costituiscono il pericolo per la salute e per l’ambiente. Si tratta quindi di un immagazzinamento, che dovrebbe essere provvisorio sino all’individuazione di un sito idoneo e definitivo. Ci sembra legittima qualche domanda. Ad esempio: perché le Forze Armate fanno uso di uranio impoverito, che, se è vero che ha proprietà meccaniche particolari e un’attività modesta, è pur sempre radioattivo? Quanto e quale materiale è depositato nella pineta del CISAM e come viene conservato? Oltre alle doverose visite effettuate dagli Amministratori locali, esistono verifiche degli enti preposti al controllo, l’ARPAT ad esempio, come per ogni altro qualsiasi impianto? Le preoccupazioni sono sempre legittime, le risposte doverose. L’occasione porta anche a riflettere sulla ormai lontana e sfortunata decisione di collocare una struttura militare con un reattore nucleare in uno splendido pezzo d’Italia, oggi inserito in un parco, sottraendo così al pubblico un’area di grande valore naturalistico. Ci auguriamo che in un futuro non lontano i Pisani, che hanno esposto mille bandiere della pace in città, possano passeggiare nella pineta, fermarsi sui prati senza l’ombra delle armi».
di Gianni Lannes
21 Novembre 2024