Dopo aver letto il bell’articolo di Michele Prospero («L’iperdemocrazia delle primarie», il manifesto del 19 dicembre) ho pensato: e se provassimo a fare a meno dei leader, dei capi, delle guide? Dei divi condannati a «bucare lo schermo» e degli antidivi che alla telecamera non si possono nemmeno avvicinare.
Dei condottieri che hanno il difetto di doversi sempre trascinare dietro una massa acquiescente e dei carismatici che sono pericolosi perché vengono creduti anche quando sbagliano. Se provassimo invece a salvarci da soli, seguendo l’approccio DIY (do it yourself)? Saremmo ridicoli come il Barone di Munchausen che tentava di tirarsi su per il colletto della giacca, o ammirevoli come i lillipuziani?
Se provassimo a comportarci con coerenza rispetto all’idea di società e di individuo che abbiamo in mente (una società capace di cooperare solidarmente e di un individuo capace di autogovernarsi) risulteremmo più deboli o più credibili agli occhi dei nostri simili? Se alle tante fabbriche, officine, cantieri, laboratori… (tutti rigorosamente con il loro brand) sostituissimo degli orti delle buone pratiche?
Orti familiari e sociali, da creare sul balcone della cucina e negli interstizi urbani, nei cortili delle scuole e soprattutto tra i compagni di lavoro. Spazi privati e pubblici dove non c’è da edificare alcunché, a «zero consumo di suolo», ma solo prendersi cura nel presente delle relazioni tra le persone e tra ogni individuo e l’ambiente.
Non è politica questa? Scriveva Vandana Shiva (Il bene comune della terra): «I regimi totalitari e dittatoriali si combattono a partire dalle realtà locali, perché i processi e le istituzioni su larga scala sono controllati dal potere dominate. I piccoli successi sono invece alla portata di milioni di individui, che insieme possono dar vita a nuovi spazi di democrazia e libertà (…) la realtà quotidiana ci offre mille occasioni per mettere a buon frutto le nostre energie».
Diranno in molti a sinistra che la politica vera è quella che riesce a fare i conti con gli stati, con le multinazionali, con le classi dirigenti predatorie e ciniche che hanno dichiarato guerra a chi vive del proprio lavoro e alla biosfera. Ma da dove traggono il loro potere questi signori, se non dalla nostra quotidiana «volontaria schiavitù»?
Dal consenso che, spesso inconsapevolmente, accordiamo al sistema di dominio che ci condiziona e ci sovrasta. Pensate se alle prepotenze di Marchionne la cittadinanza democratica attiva riuscisse a far boicottare per qualche mese l’acquisto di automobili del gruppo Fiat? Sarebbe un’azione più o meno efficace di uno sciopero? Riusciremmo a solidarizzare più o meno con la Fiom?
Ma per mettere in atto forme di contestazione e di conflitto sociale diffuse ed efficaci è comunque necessario istaurare un sistema di connessioni orizzontali, di collaborazioni, di accomunamento… tra le innumerevoli esperienze esistenti alla base della nostra irrequieta e pur sempre indomabile società, così da creare un sistema di «cooperanti autonomie», come ha scritto Pino Ferraris.
Il tema del «soggetto politico», in un modo o nell’altro, continua quindi ad essere più che mai all’ordine del giorno.
di Paolo Cacciari, tratto da “Il Manifesto”
21 Novembre 2024