Anche il Presidente del Consiglio Monti è tornato a parlare di una «modesta tassazione generalizzata del patrimonio» per far fronte ai rigidi vincoli di bilancio che lui stesso ha imposto all’Italia. E’ infatti chiaro che, a fronte di un’austerità che taglia alcune spese, ma porta ancora recessione, è necessario avere più entrate a breve, allargando la base imponibile, per sostenere l’avanzo primario necessario a pagare gli ingenti interessi sul debito. Il tutto in attesa che si inizino a privatizzare numerosi beni pubblici per fare cassa.
Certo, oltre al reddito bisognerebbe tassare la ricchezza privata, che in Italia è decisamente tanta, pur se in poche mani. Secondo l’ultimo rapporto disponibile dalla Banca d’Italia sulla «ricchezza delle famiglie italiane» con riferimento all’anno 2010, sono più di 9.500 miliardi di euro gli asset patrimoniali degli italiani. Quasi cinque volte il nostro debito pubblico, e sei volte il Pil. Se sottraiamo quasi 900 miliardi di passività finanziarie, ossia mutui e prestiti, più della metà della ricchezza è in beni immobili reali (di cui 5.000 miliardi in fabbricati residenziali e quasi 1.000 in industrie e terreni) mentre 3.600 miliardi di euro sono asset finanziari. Ciò significa che in Italia ogni cittadino avrebbe in media 60.000 euro di titoli finanziari intestati a proprio nome. Al riguardo si pensi che nella ricca Germania il rapporto della ricchezza finanziaria privata sul pil è il 123%, mentre da noi è il 175%. La «povera» Italia ha poi il più alto rapporto ricchezza privata totale-reddito disponibile nell’area Euro.
Ancora più utili sono le stime per il 2011 prodotte da alcuni centri di ricerca legati alle grandi banche. Nell’annus horribilis della crisi del debito pubblico, la ricchezza è diminuita di poco, e principalmente quella finanziaria: si tratta forse di soldi che lasciano il paese visto che i mercati finanziari sono tornati a dare profitti? Mentre le case e le imprese non si spostano, i capitali viaggiano con un click del computer. Per questo è lecito chiedersi dove si trovi la ricchezza finanziaria privata intestata agli italiani. L’opposizione di Monti a una vera patrimoniale è proprio nella tracciabilità di questa ricchezza mobile. Nulla di sorprendente, visto che per decenni i professori ideologici come lui hanno predicato la libertà incondizionata dei movimenti di capitale a livello globale. Per questo è lecito chiedersi chi poi pagherebbe una ipotetica patrimoniale, quando probabilmente la fuga di capitali è già avvenuta in gran parte.
In un certo senso la Banca d’Italia nel suo ultimo studio sulla disuguaglianza in Italia ha dato una risposta chiara: nel 2009 il 45% della ricchezza era nelle mani del 10% delle famiglie, mentre il 50% più povero ne deteneva appena il 10%. Interessante che poi lo stesso 10% più ricco del paese dichiara redditi per solo il 27% del totale, come se questa ricchezza, ampiamente finanziaria, non producesse gran che di rendita o guadagni in borsa. Mentre sono proprio i «più poveri» che si mantengono lontani dai mercati finanziari a possedere principalmente il mattone che fa più reddito. Si aggiunga a questo che le famiglie italiane risparmiano sempre meno: solo il 4,3% del reddito disponibile nel 2011 a fronte di un 16,8% nel 1995. Popolo di «choosy» scialacquatori allora? No, classe media che si sta impoverendo perché non porta i capitali fuori o evade il fisco. La definizione di Imu come una mezza patrimoniale mascherata sulla casa ha il suo perché, specialmente per la sua applicazione regressiva e non legata ai redditi. Ma la vera patrimoniale dovrà essere quella sui capitali finanziari. Gli stessi che però oggi sponsorizzano il governo.
Antonio Tricarico (Re:Common) – Da Il Manifesto
22 Novembre 2024