Per un mondo più sostenibile e democratico è necessario costruire una novella Utopia
Ignacio Ramonet al Forum Greenaccord, il potere dei sogni ed il ruolo dei nuovi media
CUNEO. «Così facilmente s’acquisterebbe il vivere, se il desio di accumulare denari non impoverisse gli altri». Dalle pagine de “L’Utopia”, il grande umanista, politico, santo e scrittore britannico Tommaso Moro lancia un motto che potrebbe benissimo ergersi tutt’oggi a monito dei rischi impliciti che il capitalismo arrembante e la speculazione sfrenata si portano appresso, e che si stanno concretizzando sempre più.
Era il 1516 quando queste parole presero forma, e del capitalismo – anglosassone o meno – non c’era traccia. Ma la pecunia, da semplice strumento, ha sempre tentato l’avarizia umana e meritato l’appellativo di sterco del diavolo; lo stesso Moro doveva certamente aver maturato questo pensiero, quando decise di imprimere delle parole su carta per descrivere l’esempio ed il mito ritrovato di una sorta di città-stato ideale, Utopia appunto, «con lo scopo di raccontare come sia possibile cambiare le cose, suggerendo che non siamo condannati a vivere così, ed offre un modello da seguire per approdare in un mondo migliore».
Lo storico ex-direttore del mensile “Le monde diplomatique” – a suo tempo indicato da Chomsky come il miglior giornale al mondo – Ingacio Ramonet (Nella foto), giornalista e scrittore spagnolo, nella sua analisi politica espressa davanti ai microfoni del Forum internazionale promosso da Greenaccord rilancia la necessità opprimente di un’utopia che ancora manca all’umanità per veleggiare verso un nuovo e sostenibile orizzonte della storia.
«Se parliamo di utopia suscitiamo scetticismo, perché ora utopia ha due interpretazioni: la più immediata è quella di una chimera irraggiungibile – spiega Ramonet – ma non credo che ci si possa fermare qui. Noi che pensiamo che le cose possono cambiare dovremmo recuperare questo modello: molte utopie concepite da sognatori, anche dopo molto tempo dal loro concepimento, si sono concretamente realizzate».
Snocciola esempi importanti, Ramonet, a sostegno della sua tesi. A partire dall’ormai raggiunta abolizione della schiavitù (almeno quella tradizionalmente intesa come tale), quasi completamente eliminata dai quattro angoli del pianeta, ma che nella storia dell’uomo ha pressoché sempre rappresentato lo stato normale delle cose per civiltà diversissime tra loro.
Oppure, ricorda come ci sia capitato di vivere in un mondo dove la violenza non è certo sparita, come non sono certo spariti conflitti localizzati, ma da tempo ormai uno stato di pace caratterizza la maggioranza degli stati, sicuramente anche per merito di organizzazioni internazionali imperfettissime ma indispensabili come l’Onu, che promuovono unità politica: «fino al 1945 è stata invece proprio l’Europa il fuoco perturbatore del mondo, concentrando la maggior parte e la maggior consistenza di guerre, per tanto, tanto tempo. La realizzazione stessa dell’Europa unita deve moltissimo all’orrore della II guerra mondiale».
Lo stesso conflitto che dimostra anche come le stesse utopie (nel caso, quella nazista con il suo ideale di razza perfetta, ma anche quella comunista di un totalitarismo guidato dal proletariato) possano esser potenti ma pericolose, e grondare sangue. L’influenza di un’appropriata narrativa, adeguatamente diffusa e recepita, riesce a trascinare menti, cuori e volontà.
«Ebbene, se noi ci preoccupiamo del futuro nostro e dell’ecosistema, dobbiamo anche essere capaci di proporre e costruire insieme un progetto per un mondo ecologicamente sostenibile, descrivendo un’alternativa concreta, come a suo tempo e modo fece Tommaso Moro – conclude Ignacio Ramonet. È fondamentale riuscire ad informare diffondendo il pensiero della sostenibilità».
Internet ed i social network, i nuovi media, sono armi molto affilate per raggiungere quest’obiettivo, come dimostrano le loro potenzialità nel corso della Primavera araba, o dell’odierno movimento mondiale degli indignados, ma «al momento non ci è dato sapere dove strade come queste ci porteranno – conclude Ramonet. Certamente, è nostro dovere riuscire a sfruttare le possibilità di comunicazione offerte dalle vecchie e nuove tecnologie ma, soprattutto, dobbiamo usarle per costruire una proposta di società diversa, in modo da non protestare solamente ma invece sapere ed indicare dove vogliamo andare, verso un mondo più sostenibile e democratico».
Luca Aterini
Greenreport
23 Dicembre 2024