Per una nuova finanza pubblica
di CRISTIANO LUCCHI
Passi gli anni a lottare contro il neoliberismo, rincorri i “dominanti” – quella miscela esplosiva tra imprese, politica e banche – che fanno profitto sui beni comuni, sull’acqua, la sanità, il trasporto pubblico, la scuola e l’università. Cerchi di arginare l’erosione dei diritti dei lavoratori e più in generale l’implosione di quelli civili. Rincorri sempre con affanno e ritardo le situazioni, sei sempre a valle dei processi che stanno dilaniando la nostra società e sono decisi, ormai per definizione, “altrove”, fuori dai Parlamenti e dai Consigli elettivi degli enti locali, a scapito della democrazia, quella sostanziale.
Decine, centinaia di vertenze in tutta Italia: lotte contro il consumo sterile di territorio, contro i pericolosi inceneritori, le inutili autostrade, l’insulsa alta velocità, la privatizzazione di tutti i servizi pubblici essenziali. Tutte azioni giustificate con la crescita economica e il progresso. Una retorica che ti avvolge e che ti costringe alla difensiva, come se tu, contrastando questo modello di sviluppo, mirassi a vivere nel medioevo, senza infrastrutture, spostandoti in carrozza, bruciando i rifiuti nel cortile e ricoprendo buche in terra al posto delle fogne. Non è così, lo sapete. La narrazione dei dominanti gode di supporter potenti e pervasivi, ad iniziare dai grandi gruppi editoriali, sedicenti indipendenti, di loro proprietà. Il dibattito pubblico è dopato e inaccessibile a chi individua non tanto gli effetti di questo sistema, bensì le cause: «Quando io do da mangiare a un povero, tutti mi chiamano santo. Ma quando chiedo perché i poveri non hanno cibo, allora tutti mi chiamano comunista» diceva Dom Hélder Câmara, precursore della teologia della liberazione.
All’improvviso però succede qualcosa di nuovo, in grado, se coltivato con una “impaziente calma”, di rovesciare il tavolo del gioco truccato, quello del libero mercato. Le intelligenze, le attiviste e gli attivisti che hanno animato il dibattito altermondialista negli ultimi 15 anni nel nostro paese, ormai ricchi di esperienza e competenze, si confrontano e individuano una strategia nuova, capace di risalire la corrente e posizionarsi a monte delle decisioni, non più a valle, per costruire, contestualmente, una vera e propria diga all’enorme flusso di denaro rappresentato dall’insieme delle nostre tasse e dei nostri risparmi. Discutere prima e intervenire poi sull’origine della crisi, per ragionare insieme delle responsabilità delle banche e della finanza speculativa, per un confronto serio sull’auditoria del debito e sul ruolo della Cassa Depositi e Prestiti, che, attraverso la gestione del risparmio postale (230 miliardi di euro), ha più liquidità di quella dei maggiori istituti creditizi italiani (60 miliardi). E’ così che oltre 300 persone in rappresentanza di decine di vertenze locali e nazionali si sono ritrovate lo scorso 2 febbraio a Roma, al Teatro Valle occupato, e insieme hanno promosso la campagna “Per una nuova finanza pubblica e sociale” che, sulle orme della campagna per la ripubblicizzazione dell’acqua – trasversale, orizzontale ed inclusiva – possa restituire speranza e diritti a tutti noi.
Una campagna che nasce da una semplice e banale constatazione: i “dominanti” ci raccontano che abbiamo vissuto fino ad oggi sopra le nostre possibilità ed è per questo che il debito pubblico è esploso, ed è per questo che dobbiamo fare sacrifici per ripagarlo. Oltre a non essere vero – mai l’umanità ha avuto risorse e denari come in questo momento storico, mai sono stati nelle mani di così poche persone – ci nascondono un altro punto chiave, ovvero che l’attuale crisi economica è causata sia da una sovrapproduzione eccessiva ma anche, e forse soprattutto, dalla finanziarizzazione dell’economia reale. Dietro ad ogni singola opera pubblica c’è un interesse terzo che non è quello dei cittadini, bensì della banca, della lobby o del fondo speculativo di turno. Dietro ogni inceneritore, dietro ogni autostrada, dietro ogni rigassificatore, dietro ogni ponte, asilo, scuola da costruire o programma di green economy da realizzare, c’è l’intento di rendere tali opere sempre più appetibili ai mercati finanziari, scaricandone il costo sulle spalle dei cittadini che vedono così il loro denaro – “prestato” alla Cassa Depositi e Prestiti – utilizzato contro di loro, contro il nostro futuro (questo tema è approfondito nell’ottimo dossier di Re:Common “Il business delle grandi opere“).
A Roma è stato compiuto quindi un salto di qualità fondamentale. Si sono collegate le tante vertenze locali, dall’acqua alle grandi opere per intenderci e semplificare, e si è capito come al centro di tutte queste lotte ci sia un denominatore comune: la finanza, pubblica o privata che sia, o meglio pubblica influenzata da quella speculativa. Allo stesso tempo i partecipanti hanno espresso una grande consapevolezza sull’amaro destino che porterà al fallimento delle tante lotte territoriali per il bene comune se continueremo a lasciar fare i “dominanti” senza combattere le cause vere della loro azione: fare quattrini depredando i bilanci pubblici. Questa maturità è stato il vero balsamo della giornata, perché consente di iniziare un lavoro comune e trasversale in tutta Italia seguendo i flussi di denaro che stanno dietro al singolo inceneritore, al singolo taglio di posti letto in un ospedale, all’ennesima privatizzazione dei servizi pubblici, all’ultima esternalizzazione. E il lavoro comune che ci aspetta all’interno della campagna, per come è stato definito al Teatro Valle, ha due caratteristiche fondamentali per avere successo.
La prima metodologica: il modello operativo della campagna “Per una nuova finanza pubblica e sociale” sarà simile a quello sperimentato dalla campagna per la ripubblicizzazione dell’acqua che nel 2011 ha portato al grande risultato referendario. Nelle prossime settimane si assisterà quindi alla costituzione di un Forum nazionale aperto, radicato e articolato sul territorio, in grado di godere dell’assistenza di giuristi, economisti, esperti, tecnici che si muoveranno a livello nazionale oltre che locale. Oltre all’ovvio vantaggio di agire in una cornice comune e condivisa è prevista anche una mappa delle competenze per far emergere persone e realtà che possano condividere il lavoro già svolto con successo a livello locale.
La seconda caratteristica è di tipo contenutistico: sono già definite due prime azioni (non esaustive) frutto dell’analisi su citata: la prima è quella dell’auditoria sul debito pubblico, nazionale e locale, per capire come è costituito e scindere il debito buono da quello cattivo. Solo un esempio, fare debito pubblico per acquistare una tac o allestire una sala operatoria è debito buono, diventa invece cattivo se utilizzato per l’acquisto di 90 inutili caccia-bombardieri F35. L’audit serve proprio a questo, a restituirci consapevolezza e materiale utile per tornare a fare politica dal basso, a vantaggio di noi, cittadini privi di interessi speculativi e distruttivi dell’altrui bene. La seconda è la campagna di ripubblicizzazione, e quindi di riappropriazione, della Cassa Depositi e Prestiti privatizzata nel 2003 da Giulio Tremonti (Pdl) e guidata oggi da Franco Bassanini (Pd). C’è tanto da fare come potete capire, ma la cosa positiva è che non sarà lavoro in più per le nostre già numerose battaglie sul territorio, bensì un valore aggiunto per dare maggiore sostanza a ciò su cui siamo già attivi.
La campagna “Per una nuova finanza pubblica e sociale” è promossa da Smonta il Debito, Rivolta il Debito, Attac Italia, Re:Common e Centro Nuovo Modello di Sviluppo oltre che innumerevoli realtà locali. Per approfondimenti il sito è www.perunanuovafinanzapubblica.it, su Facebook all’indirizzo www.facebook.com/nuova.finanzapubblica e infine trovate altre informazioni sul numero di gennaio del Granello di Sabbia. Qui sotto gli interventi di Antonio Tricarico e Marco Bersani tra i fondatori della Campagna.
Guarda i video degli interventi di Marco Bersani ed Antonio Tricarico:
22 Dicembre 2024