“Basta privatizzazioni … basta attacchi ai sindacati che devono invece estendere il loro ruolo … parlare dei problemi di chi, pur lavorando sodo, fatica ad arrivare a fine mese è onesto e patriottico: servono 200mila case popolari, basta chiudere gli ospedali di quartiere. E i ricchi devono dare di più per finanziare gli asili e il doposcuola delle scuole medie”.
Parola del nuovo sindaco di New York City. Erano vent’anni che la Grande Mela non eleggeva un democratico. A sfatare il tabù ci ha pensato Bill de Blasio, simpatico italo-americano di 52 anni, sposato con una poetessa e attivista afroamerica bisessuale, papà di Dante e Chiara, che ha ottenuto il 73,6 per cento dei voti contro il 24 per cento del suo sfidante repubblicano, Joe Lhota. È la più larga vittoria per un candidato sindaco a New York dal 1985, quando Ed Koch vinse con 68 punti percentuali di vantaggio. Bill de Blasio succede a Michael Bloomberg, ex repubblicano poi diventato indipendente, che è stato sindaco per tre mandati.
Non si tratta certo di una notizia ordinaria, e non solo perché stiamo parlando di una delle città più importanti del mondo. L’elezione di de Blasio, infatti, è un fatto politico e sociale assolutamente rilevante. Le parole pronunciate dal nuovo sindaco di New York, in campagna elettorale, ricordano da vicino i principi della piattaforma che ha organizzato la manifestazione del 19 ottobre, a Roma.
Le origini italiane. Bill De Blasio – newyorkese della lower class, origini bianche, italiane e tedesche – è un manifesto di eguaglianza e tolleranza multirazziale. Nato sotto il nome di Warren Wilhelm, cambiò il cognome paterno con quello della madre – Maria De Blasio, figlia di immigrati di Sant’Agata dei Goti (Benevento) – per superare i traumi subiti da un padre sempre assente e poi suicida. Dopo essersi laureato alla New York University, si è specializzato in Politica e Affari Istituzionali alla Columbia University. Ha distribuito cibo e medicinali durante la rivoluzione in Nicaragua, prima di essere eletto, nel 2002, membro della giunta comunale cittadina. Il suo borough di riferimento è sempre stato Brooklyn. Il neo sindaco ha sempre mantenuto un legame molto forte con l’Italia, soprattutto con la Campania (è un grande tifoso del Napoli). Ed infatti, non ha mancato di salutare e ringraziare – in Italiano – i parenti d’oltreoceano.
Democratico e liberale. Oltre a essere un democratico, de Blasio è anche un liberale – fatto ancora più raro per la city. Michael Bloomberg e Rudolph Giuliani erano repubblicani (soltanto in occasione del terzo mandato Bloomberg si è presentato come indipendente); i democratici David Dinkins, Ed Koch e Abe Beame mantennero sempre un’attitudine moderata; per trovare un primo cittadino liberale, bisogna risalire a John Lindsay, che governò dal 1966 al 1973 ma che apparteneva al partito repubblicano.
La New York di Bloomberg. Bill de Blasio eredita la poltrona che, per tre mandati, è stata di Michael Bloomberg. Sotto il suo regno, la città ha vissuto una nuova era, febbrile e frenetica: sono stati costruiti quarantamila nuovi palazzi, un dinamismo senza eguali nel mondo, a partire dal cuore pulsante e ferito di Ground Zero. Non solo skyscrapers: 750.000 alberi, 725 chilometri di piste ciclabili, la High Line, ex ferrovia sopraelevata trasformata in giardino pensile per passeggiate su Chelsea e Hudson. Sindaco miliardario, vicino al business edile, mecenate, amico e finanziatore delle belle arti in una città che inaugura un paio di nuovi musei ogni anno e dove il settore con la massima crescita dell’occupazione è l’istruzione, Bloomberg ha riscritto completamente i piani regolatori per il 37% del territorio metropolitano. La sua frenesia costruttiva ha sconvolto in profondità l’identità di alcuni quartieri che hanno fatto la storia di New York, modificandone persino la popolazione. Viene definita gentifrication: nell’East Village, ad Harlem, da Williamsburg fino al Bronx, i ceti medio alti si sono spostati in quartieri che avevano un’anima assolutamente popolare. Costringendo gli antichi abitanti a migrare ancor più in periferia. Dopo i tre mandati da sindaco, insomma, Bloomberg lascia una città più ricca, dinamica e verde che, però, sembra aver perso un pò della sua anima. Come se, dall’11 settembre 2001, avesse voluto dimenticare cambiando radicalmente, e mostrando al mondo i muscoli. Grazie alle banche e a Wall Street, difesa senza mai retrocedere di un passo: perché la ricchezza dei cittadini che guadagnano lavorando nelle banche di investimento ha significato più entrate nelle casse del comune, e perché Bloomberg è padrone di un impero mediatico che è la principale fonte di notizie per la finanza del pianeta. Non è un caso che gli occupanti di Zuccotti Park ricordassero continuamente che l’1 per cento più ricco della città detiene il 40 per cento della ricchezza totale. Se Manhattan ha cambiato volto, le case popolari cadono a pezzi e, in molti quartieri, la povertà è aumentata nonostante la ricchezza media sia cresciuta. Dopo la cura Bloomberg, insomma, a New York serve una cura di welfare.
La ricetta di Bill de Blasio. Il nuovo sindaco è considerato un radicale, per alcuni – in particolare dalle parti di Wall Street – troppo di sinistra. Buona parte dell’establishment finanziario e industriale è un po’ spaventata dalla sua elezione. Come detto è un ‘liberal’ – molto di sinistra – e pur credendo nel mercato e nell’affermazione individuale, è convinto che lo stato giochi un ruolo decisivo nella regolamentazione dell’economia, nella promozione della giustizia sociale e di politiche sociali attive. E’ un fiero promotore dei diritti civili, fra cui quelli di omosessuali e transgender. Inoltre, crede fermamente sia arrivato il momento di affrontare il nodo fondamentale delle società occidentali, la disuguaglianza. Nella città dove si concentra il più alto numero di milionari, il 40% della popolazione vive vicino o sotto la soglia di povertà. La disuguaglianza a questi livelli non solo è ingiusta, ma ha effetti molto negativi sull’economia perché è sintomo di una compressione enorme dei livelli di reddito, e quindi di consumi, della classe media. Essere progressive, per de Blasio, vuol dire dare priorità alla scuola pubblica rispetto alla privata, un’attenzione all’affermazione delle classi meno fortunate e un ritorno ai valori fondanti della Costituzione, a partire dalla limitazione di forme invasive di controllo poliziesco. Tra i punti fondamentali del suo programma c’è, infatti, la riforma della pratica dello “stop ad frisk”, divenuta odiosa in certe zone della città perché colpisce per il 90% neri e latini. Si tratta di una politica introdotta a fine anni ’90 che consente alla polizia di fermare cittadini sospetti e perquisirli senza mandato. Inoltre, il sindaco appena eletto ha intenzione di aumentare di mezzo punto percentuale le tasse a chi guadagna più di mezzo milione di dollari all’anno. Si tratta di 2mila dollari per chi guadagna un milione, che serviranno a finanziare l’asilo e il doposcuola pubblico per tutti. Un programma di grande impatto sociale ed economico. Altro punto del suo programma è il potenziamento della scuola statale, limitando i fondi pubblici alle charter school, una forma di scuola pubblica finanziata dal Comune ma con libertà nei programmi rispetto alle statali. Verrà potenziata anche l’edilizia popolare. Con Bloomberg, come detto, si sono trasformati interi quartieri, una volta invivibili e ora trendy e vibranti. Ma una città non può essere vissuta solo da chi può permettersi 3.000 dollari al mese per un monolocale.
di Nello Avellani
23 Novembre 2024