Capi non destinati all’alimentazione che, passando per l’estero, diventano ripieno per ravioli. La rabbia del titolare del più grande macello del Nord: “Sapevo di questa storia del pastone e speravo venisse fuori. Quei pirati un danno per tutti”
Si girano tutti assieme, nella lunga stalla. La testa fuori dalle gabbie di ferro, a guardare chi arriva. Sono curiosi, i cavalli. Fra 24 ore non ci saranno più il bardigiano o l’appenninico, l’andaluso o il maremmano, ma soltanto mezzene, quarti anteriori e posteriori, teste, cuori… Meglio far vivere bene le loro ultime ore: il fieno è buono, la stalla è pulita. “Il mio primo impegno – dice Andrea Zerbini, del macello Zerbini & Ragazzi snc di Fosdondo – è fare uscire da qui una carne sana e buona, e che faccia bene. Compro animali in mezza Europa, faccio mille controlli. Credo che la nostra professionalità dimostri un rispetto vero per i cavalli. Quelli che invece fanno il “pastone” sono degli avventurieri. Per loro i cavalli sono solo proteine da aggiungere a qualche miscuglio”.
Il “pastone” denunciato dal commerciante e macellatore reggiano – uno dei più importanti, con cento cavalli che ogni settimana passano dalle stalle alle celle frigorifere – è il nuovo mostro che, dopo la mucca pazza, l’aviaria e altre disgrazie, spaventa l’Europa e mezzo mondo. “Lo preparano le industrie e le multinazionali che trattano la carne come se non fosse un cibo. Io sapevo ormai da anni che all’estero giravano carni equine con fenilbutazone. Speravo che lo scandalo scoppiasse, in modo da denunciare gli avventurieri. Ma adesso c’è il rischio che a pagare sia tutto il mercato e anche noi che non abbiamo nulla da spartire con quelle pratiche. Guardi questa stanza, e anche questa. Sono piene di “passaporti equini”, la carta d’identità dei cavalli e asini macellati da noi. Per ogni controllo, li dobbiamo tenere per cinque anni”.
A portare carne nei “pastoni” è anche la crisi degli ippodromi e dei maneggi. I “cavalli da vita”, diversamente da quelli da macello, possono essere curati con l’antinfiammatorio fenilbutazone ma già alla nascita debbono essere dichiarati “non Dpa”, non destinati alla produzione alimenti. “In teoria – racconta Veniero Giglioli che a Reggio Emilia cerca di resistere con il suo piccolo “Commercio di cavalli da macello” – chi ha un cavallo da vita dovrebbe attendere la morte naturale dell’animale e poi smaltirne la carcassa nei bruciatori indicati dalle Asl. Ma la crisi pesa anche qui. Un cavallo non è una motocicletta, che se non la usi la metti in garage. Un cavallo costa cinque-seicento euro al mese, fra fieno, veterinario, maniscalco… E portarlo al bruciatore costa altri 500 euro. E allora cosa fanno in tanti? Mandano il cavallo all’estero, soprattutto all’Est. E magari finisce nel pastone di qualche industria o ritorna tagliato in quarti. Io ho 80 anni e di cimiteri di cavalli non ne ho mai visti. È difficile buttare via un capitale”.
Nel macello di Fosdondo c’è un Tir arrivato dalla Spagna. “Mi ha portato – dice Andrea Zerbini – venti cavalli, ognuno con il suo passaporto. C’è anche la “informaciò de la cadena alimentaria”. C’è il disegno che racconta tutti i particolari dell’animale, meglio di una fotografia. C’è la segnalazione all’Apa, associazione provinciale allevatori, e quella all’Uvac, ufficio veterinario per gli adempimenti comunitari. Ecco, per questo trasporto ho speso 2.500 euro. Con gli stessi soldi, e anche meno, se avessi comprato carne macellata, con lo stesso Tir avrei portato a casa non 20 ma 70 cavalli, e il tutto senza passaporti o altro, solo un’unica bolla di accompagnamento, che non dice nulla sulla carne che arriverà alle macellerie”.
“Noi la tracciabilità l’abbiamo già avviata, anche se non c’è ancora una normativa precisa. Lo facciamo per garantire il consumatore e anche per tutelarci. Guardi questa cella frigorifera. Su questo pezzo di fiorentina sottovuoto c’è scritto che si tratta del cavallo numero 24 macellato il 18/2/2013 presso It 798, il codice del mio macello. Se mi arriva una segnalazione di un difetto o di un problema, con questi numeri controllo i passaporti in ufficio e sono in grado di rimettere assieme il cavallo, perché so chi ha comprato i pezzi. Ma la tracciabilità deve essere estesa a tutta l’Europa. Solo così si può evitare che cavalli non macellabili in Italia emigrino e poi tornino in forma di pastone. E ci sono poi le malattie. In Romania, ad esempio, da quattro anni in molte zone c’è l’anemia infettiva, che un cavallo trasmette ad altri cavalli tramite le zanzare. Da allora è bloccata l’esportazione di animali vivi ma la macellazione continua, proprio per produrre il pastone per le industrie”.
I 50 cavalli nella stalla domani saranno macellati. Con loro anche un asino. “Sono già stati visitati dal veterinario Asl, che sarà presente anche domani per controlli e prelievi. Abbiamo anche un nostro biologo”. Ogni cavallo verrà portato nella “trappola”, dove sarà bloccato e stordito. Poi lo sgozzamento, le mezzene, se richiesto il disossamento… Per ora i cavalli sono tranquilli. Sempre curiosi. Forse pensano che questa sia la loro nuova stalla.
di JENNER MELETTI-Repubblica
23 Novembre 2024