ALLARME. Le alluvioni rischiano di provocare disastri ambientali. Perché gli alvei sono pieni di industrie pericolose. La denuncia del Wwf.
Le alluvioni, sempre più frequenti e violente, oltre ai danni a cose e persone rischiano di provocare veri e propri disastri ambientali. In queste ore preoccupa il bacino del Po in piena, interessato da numerosi impianti e depositi di stoccaggio pericolosi a pochi metri dagli alvei. Nel 2000 l’alluvione lungo la Stura di Lanzo ha distrutto il ponte di Robassomero (To). I serbatoi dello stabilimento Agip minacciato dalla piena vengono svuotati in fretta e furia, le sostanze chimiche trasferite nella zona industriale del comune. A ridosso dei nostri corsi d’acqua sono presenti numerose attività pericolose o inquinanti. A Saluggia, sulla Dora Baltea, altro affluente del Po, si trovano addirittura due depositi di stoccaggio di scorie nucleari, «già lambiti dall’alluvione del 2000», denuncia il Wwf. L’azione migliore è «la delocalizzazione» di queste attività, spiega Andrea Agapito, responsabile Acque dell’associazione ambientalista, cosa che «chiediamo da almeno 10 anni, ma mancano i fondi». Queste aziende «dovrebbero essere inserite nel Piano strategico nazionale di priorità per rimuovere le situazioni a più elevato rischio idrogeologico, istituito con la Legge Finanziaria del 2008, i cui fondi sono però stati azzerati con la Legge di Stabilità 2012», continua Agapito. «Diverse Regioni hanno già completato i catasti di questi impianti a rischio, ora è necessario agire per aggiornarli, avviare campagne di informazione e protocolli di sicurezza che riducano al minimo i rischi ».
Nel bacino del Po ci sono poi «discariche di amianto, come quella di Albaredo Arnaboldi (Pavia), piuttosto che raffinerie, come la Tamoil di Cremona, già protagonista di sversamenti e posta tra il fiume e la città». E che dire dell’area a rischio Lambro- Seveso-Olona, «interessata nel 1988 da un costoso e fallimentare piano di recupero ambientale », tra le più pericolose d’Italia. Attorno a questi tre corsi d’acqua, tra le province di Milano e Monza-Brianza, ci sono «numerosi impianti a rischio». Lungo il Lambro, dove nel febbraio 2010 la Lombarda petroli sversò nel fiume 2.600 tonnellate di idrocarburi, c’è «la Galvaniche Ripamonti di Cologno Monzese ». Nei pressi del Guisa, aziende che trattano sostanze chimiche, alcune molto pericolose, «come la Azko Chemicals (Arese) o la Brenntag», sull’Olona «la Pharmacia e Upjohn (Nerviano), sul Seveso la Clariant». Il problema, va detto, riguarda l’Italia intera. Lungo l’Arno, in Toscana, o ai lati del torrente Solofrana, affluente del Sarno, in Campania, ci sono le industrie conciarie: quasi 800 aziende che lavorano le pelli e immettono reflui nei corsi d’acqua che, anche dopo la depurazione, «contengono carichi inquinanti ». Sempre in Campania, a Saviano, l’allagamento dei Regi Lagni ha trasformato il canale di scolo in un fiume carico di spazzatura, mobili e sanitari trascinati alla deriva sotto gli occhi attoniti dei residenti.
Alessandro De Pascale
Terra
24 Novembre 2024