di ROBERTO MUSACCHIO
Naturalmente è presto per dirlo, ma quella sinistra radicale – a sinistra del Partito socialista europeo insomma – che molti davano per morta, torna a dare segnali di vita. Se un indizio non basta, più indizi cominciano a essere una prova, dice il detto popolare. E questi indizi cominciano ad esserci. Da ultimo nella tornata elettorale in Spagna che ha visto andare alle urne due regioni, e cioè l’Andalusia e le Asturie.
In particolare l’Andalusia era l’ultima amministrazione ancora in mano ai socialisti e sembrava destinata ad essere espugnata dalla marea montante del Partito Popolare di Mariano Rajoy. Invece non è andata così e i popolari, pur crescendo e superando i socialisti che perdono ma non franano in una regione in cui governano da tantissimo ed anche con una certa stanchezza) non ottengono i voti necessari ad esprimere una maggioranza assoluta. Maggioranza che invece si raggiunge sommando al Psoe i voti presi da Izquierda Unida, la coalizione di sinistra con dentro il Partito comunista, che passa dal 7 all’11.3%, continuando il buon trend che la aveva vista praticamente raddoppiare le percentuali alle recenti politiche, quelle del trionfo popolare e della fine di Zapatero. Sono voti decisivi ad impedire il governo ai popolari. Anche se non è certo che si arrivi ad un bipartito rosso-rosso, in quanto le differenze ereditate dallo zapaterismo sono ancora marcate e Izquierda potrebbe preferire un appoggio esterno.
Il risultato dellE Asturie conferma il buon andamento di Izquierda Unida, che raggiunge il 13,78% in una terra dove è tradizionalmente forte. Bene i socialisti, primo partito anche grazie a una scissione dei Popolari che porta all’affermazione di una lista di centrodestra autonomista i cui voti, se sommati ai popolari, danno la maggioranza. Vedremo. Aumentano i consensi dunque per la sinistra radicale e sono voti che corrispondono a una stagione di movimento, quella degli indignados, che naturalmente si muovono in totale autonomia, al punto di essere “accusati “ di indifferenza al quadro politico, ma che incidono nella coscienza sociale del Paese. Stagione di movimento che si è fatta prorompente dopo l’approvazione da parte del governo delle nuove misure sul mercato del lavoro, assolutamente iperliberiste. Proprio in questi giorni si tiene un nuovo sciopero generale, indetto dai sindacati, che si preannuncia grandissimo.
Se cambiamo scenario ed andiamo in Germania, troviamo il voto espresso in questi giorni nella Saar, che ha visto una rimonta della Spd, che torna a valicare il 30% recuperando parte dei voti persi la scorsa tornata quando fu punita per la sua partecipazione alla grande coalizione federale, ma non in maniera sufficiente a superare, come sperato, la Cdu, che è prima col 34%. Vero che la Linke perde 5 punti, rispetto ad un record difficilmente ripetibile, ma vero anche che rimane al 16%, la cifra più alta in un land dell’Ovest e che ottiene non a caso in casa di Lafontaine, uno dei leader del partito di sinistra. Ma questo calo corrisponde ad una affermazione anche qui, dopo Berlino qualche mese fa, della lista dei Pirati, che superano il 7% e indicano un malessere politico molto forte che si orienta verso posizioni radicali.
I risultati consentirebbero un governo imperniato sul rosso-rosso, magari con la presenza di verdi, al 5%, e pirati. Ma la Spd dice no perché la Linke è contro il pareggio di bilancio in costituzione! Non è dunque a caso che la soluzione più probabile sarà anche qui una nuova coalizione Cdu- Spd e che di questa stessa soluzione si parli ormai apertamente per il governo federale. La Linke, per proprio conto, non è nei suoi migliori momenti ma tiene ormai stabilmente una presenza politica nazionale che si vede quando è la forza che si oppone a quella austerità che in Germania è divenuta una ossessione e presenta una candidata alternativa alla presidenza della Repubblica.
Sono temi che troverebbero ben altro ascolto in Francia, dove non si è ancora votato ma la campagna per le presidenziali è attraversata dal fenomeno, inaspettato, di Melanchon e del Front de Gauche. Il leader che fu socialista, prima di uscire dal Ps e dare vita a quel Partì de Gauche, alleato del Pcf e membro del Partito della Sinistra Europea, che vola nei sondaggi addirittura fino al 14%. Soprattutto vola nelle piazze, con i 100 mila della Bastiglia di qualche giorno fa; e vola nei temi imposti alla campagna elettorale e allo stesso Hollande, il candidato socialista. Temi che si avvalgono di una tradizionale propensione francese ad una cultura di resistenza repubblicana ma che si innervano di una nuova critica all’Europa dell’austerità. Una presenza dunque che può condizionare fortemente l’esito elettorale ed anche il futuro politico.
Se poi andiamo in Grecia, dove tutto è durissimo, le tre forze a sinistra del Partito socialista, sommate, sfiorano nei sondaggi il 40%, mentre i socialisti sono sotto il 10. Naturalmente non si sommeranno, tante sono le divisioni, in particolare con quel KKE di comunisti ortodossi che “non si mischia “. Ma le altre due forze, Siriza e Sinistra democratica, che insieme valgono tra il 20% e il 30% nei sondaggi, potrebbero fare un buon lavoro nelle elezioni che, si spera, sono prossime.
Un quadro, quello che ho fatto, che dovrebbe dire qualcosa anche in Italia. Ad esempio, che si ripropone il tema di una relazione tra forze moderate e radicali che chiede ad entrambe un processo di confronto e di innovazione profonda. Assurdo negarsi l’un l’altra e assurdo considerarsi autosufficienti. La sconfitta che stiamo vivendo così pesantemente è figlia anche di questa incapacità di fondo. Che pesa anche sul presente, ad esempio in Germania. Per chi, come me, si sente parte di quel progetto del Partito della Sinistra europea che provò ad anticipare i tempi di quella dimensione europea della politica che ora si è dispiegata, e di confermare un punto di vista radicale come chiave di lettura ancora più necessaria oggi, il tema dell’attraversamento dei confini è assolutamente centrale. Ed è l’esatto opposto del rinchiudersi in uno di questi, magari limitandosi a cambiare recinto. Il tema vero, d’altronde, è la morte della democrazia che stiamo vivendo in Europa e la incapacità delle sinistre di contrastarla. Di questo ci parlano quei movimenti che, essi sì, stanno provando ad andare oltre frontiere e recinti per reinventarsi una possibilità di alternativa. Senza di loro è difficile pensare ad un futuro diverso.
22 Novembre 2024